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Censura nella storia dell’Arte: il caso del “Convito in casa di Levi”

Un’imponete scenografia sembra aprirsi a mo’ di quinta teatrale, presentando una serie di attori su questo enorme palcoscenico, nell’atto di un convito caotico, festoso. A vederlo sembra sentire il brulicante rumore di sottofondo della folla che sovrasta la scena, le cui voci si sovrappongono, si confondono, si perdono.

L’immenso e bellissimo telero di Paolo Caliari, detto il Veronese, fu realizzato nel 1573 per il Convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo, in sostituzione di un dipinto di Tiziano di analogo soggetto bruciato precedentemente in un incendio. L’opera del Veronese, in tutta la sua maestosa magnificenza rappresenta uno dei casi esemplari di censura nella storia dell’Arte.

Ma qual è, dunque, il soggetto? Sullo sfondo scorgiamo la figura di Cristo, riconosciuta da un fioco splendore di un’aureola, mentre banchetta con i dodici apostoli, di cui riconosciamo bene i Santi Pietro e Giovanni, rispettivamente alla destra e alla sinistra di Gesù; e Giuda che, invece, gli porge le spalle. Nonostante la sacralità del tema evangelico, però, la composizione è sovrastata da una serie di figure inconsuete: si riconosce in basso un nano con un pappagallo, sullo sfondo un uomo che si pulisce i denti con una forchetta, in basso a sinistra degli alabardieri vestiti alla tedesca, in basso a destra invece un uomo che perde sangue dal naso, e ancora figure ebbre tutt’intorno che contornano l’immagine santa di quella che sarebbe dovuta essere un’Ultima Cena.

Tuttavia, la composizione sembra alludere più ad un banchetto profano che uno sacro.

«Nui pittori si pigliamo la licentia che si pigliano i poeti e i matti», furono queste le parole del Veronese per rivendicare la sua licenza poetica e la libertà di espressione di fronte alle mire dell’Inquisizione, che nel frattempo aveva dichiarato l’inadeguatezza del dipinto proprio per mancanza di decoro.  L’opera, insomma, necessitava di essere “corretta”: il telero non poteva essere Un’ultima Cena, come l’artista fin da subito aveva immaginato, ma andava modificato in tre mesi e a spese del pittore.

Convito in casa di Levi di Paolo Veronese, 1573, Gallerie dell’Accademia di Venezia

Le indagini diagnostiche hanno dimostrato che il telero presenta tracce di pentimenti sì, ma solo in fase di esecuzione dell’opera e non dopo.

Tuttavia l’opera fu ribattezzata come Convito in casa di Levi, con la scritta “Levi fece un gran convito per il Signore” sulle sommità dei pilastrini di destra e di sinistra della balaustra, richiamando il passo evangelico di Luca capitolo V, forse nel tentativo comunque di un rimando a quello che doveva essere l’idea originaria.

Eppure questo non fu un caso isolato, ma solo una delle varie censure che hanno segnato la storia dell’arte: una delle più note fu quella che colpì il Giudizio Universale di Michelangelo Buonarroti nella Cappella Sistina, per la quale la Chiesa intervenne nel far “vestire” le nude figure grazie alla mano di Daniele da Volterra, che passò alla storia come il Braghettoneper l’appunto.

Un incubo, quello della censura, che rincorre tutti gli artisti e incombe su tutte le forme artistiche, arrogandosi il diritto di ingabbiare l’inventiva e definire cosa è arte e cosa non conviene che lo sia.

Ma oltre alla censura, nella storia dell’arte sono stati tanti i casi di scandalo e rifiuto: la Morte della Vergine di Caravaggio, Colazione sull’erba di Manet, l’Origine du monde di Coubert, Merda d’Artista di Piero Manzoni, Fountain di Duchamp e potrei continuare.

Qualcosa che oggi, fortunatamente, stiamo emarginando sempre più. In particolare, quest’anno due episodi sono diventati punti di riferimento per un nuovo concetto di libertà di espressione: la polemica di Fedez alla Rai in occasione del concerto del 1° Maggio, rivendicando proprio il suo ruolo di artista capace di esprimersi liberamente; e il recentissimo e importante decreto del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo guidato da Dario Franceschini, firmato il 5 aprile e concernente proprio l’abolizione della censura cinematografica, a fronte di una maggiore consapevolezza del valore della libertà di espressione e della percezione e definizione di arte. Un passo importante, considerando che molti film che hanno fatto la storia del cinema sono stati macchiati della censura: Ultimo tango a Parigi; Totò e Carolina; Nodo alla gola; la Foca, e così via. Non è poi scontato, dopotutto, riconoscere la professione dell’artista: mediatore tra l’idea e la materia. Non è scontato riconoscere le innumerevoli voci che l’arte può avere, manifestandosi senza una forma imposta e senza una regola rigida, ma solo come effusione di emozioni.

Non è scontato, non è banale riguardare al passato e pensare che sia solo passato: adesso, forse, è il principio di un’altra storia…

di Rosaria Esposito

Classe '96, diplomata al liceo classico "Cneo Nevio" di Santa Maria Capua Vetere (CE) e laureata in “Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali” all’Università degli Studi di Napoli Federico II. A metà tra un approccio storico-artistico ed uno economico-gestionale, costruisce una figura professionale capace di muoversi nei campi della cultura, conservazione e valorizzazione del patrimonio. Dà un respiro internazionale al suo profilo studiando a Lille, tra il 2017 e il 2018, attraverso al Programma Erasmus+. L’esperienza di tirocinio extracurriculare presso il “Pio Monte della Misericordia” a Napoli la spinge ad iscriversi, nel 2019, al corso di laurea magistrale in “Archeologia e Storia dell’Arte”. Tuttavia, non abbandona il suo interesse verso la valorizzazione e la gestione: grazie all’associazione “Napulitanata”, studia da vicino dinamiche interne volte alla promozione culturale territoriale e la programmazione degli eventi che da sempre l’affascinano. Ambiziosa e curiosa è una grande amante dei libri e dei viaggi. Per lei la lettura ha un grande valore culturale: leggere significa avere sete di conoscenza, essere aperti al mondo e non essere mai stanchi di stupirsi. Curerà la rubrica “Pillole d’Arte”

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