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Conversazione con Giordano Petri, voce umile e sociale dello spettacolo italiano

“La chiave interpretativa consente all’attore la costruzione della drammaticità del proprio personaggio”

Giordano Petri, attore.  

Prossimamente su Amazon Prime uscirà Credo in un solo padre, film che vede tra i protagonisti Giordano Petri e Flavio Bucci, un lavoro diretto da Luca Guardabascio.

Ha lavorato con Massimo Popolizio, Alessandro Haber, Monica Guerritore e Lando Buzzanca. Esordisce al cinema nel Pinocchio di Roberto Benigni, ma ancor prima è attore di teatro, una forma d’arte che lo contraddistingue nobilmente ancora oggi insieme alla settima.

Pronipote di Elio Petri, uno dei più intellettuali tra i registi che abbiamo avuto, uno che aveva il coraggio di veicolare idee anche contro il potere o il sistema, Giordano è interprete di spicco nel panorama italiano, anche in televisione (si ricordano le fiction Distretto di polizia e Don Matteo, tra le varie): forse un po’ silente, ma solo per la sua grande umiltà.

Attivo nell’ambito dell’associazione culturale Cinema Sociale99, insieme (tra i vari) con Luca Guardabascio (è direttore artistico insieme a lui), è un uomo, prima che un artista, dedito all’importanza del vivere civile in questa società.  

Sei il nuovo Stefano Accorsi per me, una rivelazione: le tue tonalità mi ricordano lui. Te lo aveva già detto qualcuno prima?

«Questa somiglianza mi fa molto piacere, perché conosco Stefano e lo stimo professionalmente. Tuttavia, non andrei a scomodare i “giganti” come lui. Tutte le volte che mi sono accostato ad un provino quando ero più giovane, per cui la somiglianza era ancora più netta con Stefano, mi dicevano che assomigliavo a lui effettivamente. Tuttavia, i nostri percorsi sono completamente diversi».   

Parlami un po’ di Cinema Sociale.

«Siamo la voce di tutte quelle persone che hanno bisogno di essere aiutate, di rivendicare i propri diritti in un momento in cui la società è contraria rispetto a loro, e lo facciamo attraverso la settima arte. Dunque, portiamo avanti temi di violenza di genere, omertà, di diritti LGBTQ plus… “Cinema Sociale” ha lo scopo di sensibilizzare, affinché la società diventi sempre migliore».

Parlami del tuo rapporto con Elio Petri.

«Non ho avuto modo di conoscerlo, ero troppo piccolo quando se n’è andato. Tuttavia, tutto il suo bagaglio artistico e culturale ha rappresentato per me una fucina di crescita e di apprendimento. Mi ha formato, anche se non abbiamo mai parlato. Io sono solo un umile esecutore, lui era un genio che ha dato il via ad un certo cinema di denuncia o cinema-dibattito».

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Com’è nato il tuo amore per lo spettacolo?

«Da piccolo rimanevo rapito nel vedere i varietà del sabato sera, per cui cercavo di emulare quel che succedeva in televisione. Al liceo classico mi sono avvicinato alla compagnia teatrale della scuola, e da lì è partito davvero il mio amore per il teatro. Nel 2001 mi sono diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma».

Al cinema tutto è cominciato con il tuo ruolo di teppista nel cosiddetto Paese dei Balocchi nel Pinocchio di Benigni. Che ricordi hai?

«Benigni è stato un grandissimo maestro, mise subito tutti a proprio agio. Un’anima accogliente, accomodante, protettiva. Subito ci mise in guardia rispetto al grande sacrificio che comporta il nostro mestiere. Ogni volta che era in scena significava rubare qualcosa di irraggiungibile, inarrivabile».

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Esiste un segreto per essere sé stesso pur essendo un altro in scena?

«Io penso che l’essere sé stesso e l’essere personaggio vadano di pari passo. L’essere sé stesso porta ad essere personaggio, mentre l’essere personaggio necessita di ritrovare una propria sensibilità, e quindi una propria esperienza di vita dentro di sé. Trovata la chiave interpretativa, ossia quella scintilla che ti consente di avvicinarti nella maniera più veritiera possibile alla resa di quel personaggio, l’attore deve poi essere in grado di staccarsi, come se si dovesse poi vedere in terza persona. Da lì, dalla chiave puoi costruirci una certa drammaticità».

Hai riportato delle menzioni speciali e dei premi, complimenti! Ce ne ricordi qualcuno?

«Ho vinto con un film nel 2009, “Per Sofia”, un’opera autobiografica di Ilaria Paganelli. Inoltre, questa pellicola fu presentata anche alla Mostra del Cinema di Venezia. Non avrei mai creduto di arrivare così lontano…».

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Io ti auguro di volare, per raggiungere vette più alte dell’Everest. In bocca al lupo per tutto, con affetto e davvero!

«Grazie Christian, davvero una chiacchierata bella e professionale, complimenti anche a te per tutto!».

Ringraziamo ancora una volta l’attore per le foto (le prime 2) che ci ha fornito. Di seguito trovate due link per rivivere il piacere della conversazione in diretta:

https://fb.watch/dtKUUcaaAH/

© IL QUOTIDIANO ONLINE • 2022 RIPRODUZIONE RISERVATA

di Christian Liguori

Classe '97, storico dell'arte e docente laureato in Archeologia e Storia dell'Arte all’Università degli Studi di Napoli Federico II. Dopo aver pubblicato il libro “Paolo Barca e la frantumazione della logica cerebrale umana”, un saggio di cinema sul regista Mogherini, ha maturato esperienze in svariati campi: dalla pubblicazione di articoli per un blog e una redazione online, a quella di filmati su YouTube e pagine Facebook; dalla partecipazione come interprete in spettacoli teatrali e cortometraggi, all’attivismo associativo per la cultura e l’ambiente. Già conduttore web-televisivo e radiofonico, è da sempre specializzato in recensioni di film. Curerà le rubriche "Le conversazioni di Liguori" e “Il Cinema secondo Liguori”.

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