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Conversazione con Gordiano Lupi, attento rivalutatore della “commedia sexy” e del “cinema di genere”

Direttore editoriale del “Foglio Letterario”, scrittore, traduttore e critico cinematografico, il toscano Gordiano Lupi è attento ad una rivalutazione piena ed esaustiva del cosiddetto “cinema di genere”

Cinefilo ed attento conoscitore di settima arte, l’abbiamo intervistato per capire di più della commedia cinematografica italiana di oggi, anche attraverso quella di ieri.

Quando è incominciata la sua passione per il cinema? E in che modo?

«La passione per il cinema è un’eredità familiare ed è merito del cinema di Terza Visione del mio quartiere (uno di quelli che sono scomparsi) che frequentavo con mia nonna da bambino e con gli amici da adolescente. Il mio primo film in assoluto è stato Totò a colori, seguito da Satiricosissimo (senza sapere niente né di Petronio né di Fellini e del vero Satyricon) con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Il cinema di genere è stata la porta d’ingresso per la mia passione cinematografica, perché in quella stessa sala mi sono visto i Godzilla di Honda e tutto il western italiano».

In che modo secondo lei e sulla base dei suoi saggi la commedia sexy all’italiana merita un’attenta rivalutazione alla luce della contemporaneità?

«La commedia sexy è stata importante per noi che abbiamo vissuto la repressione sessuale degli anni Sessanta e Settanta, va da sé che oggi sarebbe un genere del tutto improponibile perché al tempo mostrava (senza far vedere troppo) quel che nessuno osava esibire, strizzando l’occhio ai desideri inconfessabili degli spettatori, inserendo l’ottica del pubblico tra docce e serrature dalle quali si spiavano spettacoli proibiti, citando Plauto senza rendersene conto. La rivalutazione è dovuta, sia per l’attenzione del pubblico che per il grande fenomeno commerciale, ma soprattutto è dovuta uno studio attento, una storia del costume attraverso certe pellicole. Infine era frequentata da attori, attrici, registi, tecnici e caratteristi che sono rimasti nella storia del cinema italiano».

Tra i famosi film prima definiti trash e poi rivalutati come cult dalla stessa critica cinematografica quali ha amato particolarmente e quali ritiene siano oggi ancora attuali?

«Non accetto la definizione di trash per la maggior parte dei titoli prodotti in Italia negli anni Settanta. Sono molto più trash certe commedie contemporanee, magari copiate da analoghi lavori stranieri, penso a cose come Maschi contro femmine, Perfetti sconosciuti, Ex, insomma alla gran parte dei television-movie italici. Insomma, per certi critici dal palato fine sono trash persino Avere vent’anni o La liceale, per tacere de L’insegnante e di Non si sevizia un paperino, che hanno una loro ben precisa dignità e sono – nel loro genere – dei piccoli capolavori».

Cosa pensa della commedia italiana contemporanea ed in generale del cinema italiano di oggi? Chi va punito e chi va salvato?

«Non sono qui per punire nessuno. Pure perché chi sono per farlo? Vedo molto cinema italiano, oserei dire che non mi sfugge quasi niente di quel che esce sul grande schermo, di solito resto deluso, ma insisto. A volte mi sorprendo quando scopro ottimi autori come Leonardo Di Costanzo (Ariaferma) o Leonardo Celli (Mondocane), più spesso mi rattristo con le commedie di Genovese, Ruffini, Bruno, Miniero … ma ho fatto anche troppi nomi. In linea di massima è difficile vedere una buona commedia italiana, la cosa sconvolge se pensiamo che in questo genere siamo stati maestri, sia per commedie di alto profilo che per prodotti commerciali. Il cinema italiano continua ad avere buoni autori come i Manetti Bros (Diabolik), Gaglianone e Mainetti (le loro ultime cose non mi hanno entusiasmato ma restano bravi), Michele Soavi, Matteo Rovere, Sergio Rubini».

Secondo lei come mai i giovani d’oggi tendono a disprezzare il cinema italiano aprioristicamente se si tratta di una commedia?

«I giovani vanno sempre meno al cinema, preferiscono Netflix. E non è una buona scelta».

Cosa pensa dell’epopea cinepanettoniana?

«Non amo particolarmente i cinepanettoni, anche se ho collaborato alla scrittura di un libro sui Fratelli Vanzina – che non hanno fatto solo cinepanettoni – ma anche in quel tipo di cinema ci sono autori da salvare come Neri Parenti, Carlo ed Enrico Vanzina, persino Enrico Oldoini, buoni tecnici e validi sceneggiatori di prodotti dichiaratamente commerciali».

Sta preparando un nuovo saggio di cinema? Cosa bolle nella pentola dei suoi progetti? 

«Sono appena usciti due volumi importanti: Il cinema rovente di Umberto Lenzi (scritto con Davide Magnisi e Matteo Mancini) e Il cinema dei fratelli Vanzina (scritto con Davide Magnini e Michele Bergantin); prima avevo fatto un lavoro su Pupi Avati e uno su Gloria Guida (da solo). Sono molte le cose a buon punto, tra queste un lavoro su Pier Paolo Pasolini e uno su Sergio Citti, ma anche un saggio sul cinema di Laura Antonelli e uno sul lacrima movie».

Grazie per la chiacchierata al nostro Lupi e per le foto, da lui gentilmente offerteci.

© IL QUOTIDIANO ONLINE • 2022 RIPRODUZIONE RISERVATA

di Christian Liguori

Classe '97, storico dell'arte e docente laureato in Archeologia e Storia dell'Arte all’Università degli Studi di Napoli Federico II. Dopo aver pubblicato il libro “Paolo Barca e la frantumazione della logica cerebrale umana”, un saggio di cinema sul regista Mogherini, ha maturato esperienze in svariati campi: dalla pubblicazione di articoli per un blog e una redazione online, a quella di filmati su YouTube e pagine Facebook; dalla partecipazione come interprete in spettacoli teatrali e cortometraggi, all’attivismo associativo per la cultura e l’ambiente. Già conduttore web-televisivo e radiofonico, è da sempre specializzato in recensioni di film. Curerà le rubriche "Le conversazioni di Liguori" e “Il Cinema secondo Liguori”.

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