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Giornata mondiale della biodiversità – Intervista al prof. Silvio Salvi (Università di Bologna)

Il 22 maggio di ogni anno si celebra la giornata mondiale della biodiversità. La tutela e la salvaguardia della biodiversità sono temi centrali per la salute della vita e del nostro pianeta. A tal proposito, si è pensato di intervistare il prof. Silvio Salvi dell’Università di Bologna – Alma Mater Studiorum.

Andiamo adesso a scoprire la biodiversità con il prof. Salvi che è professore ordinario presso il dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna e si occupa del settore scientifico disciplinare di Genetica Agraria. È docente di “Genetica Agraria” nei corsi delle Lauree triennali e di “Biotecnologie applicate alle produzione erbacee”, nei corsi di Laurea Magistrale di Agraria. Di seguito l’intervista.

Professore Salvi, innanzitutto la ringraziamo per aver accettato di procedere con questa intervista. In qualità di collaboratore del “Il Quotidiano online”, posso affermare che siamo molto contenti di ospitarla. In occasione della giornata mondiale della biodiversità, che si celebra oggi 22 Maggio, abbiamo ritenuto fondamentale discutere con un esperto del settore. A tal proposito volevo chiederle, cosa rappresenta per la scienza e per l’umanità la biodiversità?

«La biodiversità è uno degli attributi fondamentali della vita. La diversità di una specie o anche di un intero ecosistema (intesa nel secondo caso come ricchezza in specie diverse) è alla base dell’adattamento ad un ambiente che cambia continuamente, e quindi è quasi sinonimo di possibilità di sopravvivenza. Per la scienza, ed in particolare per il settore di cui mi occupo, la genetica agraria, la presenza di diversità genetica è la base per sviluppare nuove varietà vegetali, o razze animali, che rispondano meglio alle necessità della società. E dallo studio della diversità genetica derivano molte applicazioni, spesso inaspettate, che spesso vanno oltre gli aspetti legati alla produzione agraria. Per esempio, pensiamo a composti chimici prodotti da microrganismi o da piante, che possono avere applicazioni in campo farmaceutico. Come vede, in questi casi, come quasi sempre d’altronde, gli interessi della scienza e dell’umanità coincidono».

Negli ultimi due decenni sono aumentati il numero dei meeting internazionali, sia di natura istituzionale-governativa e sia per quanto riguarda i ricercatori del mondo scientifico, in cui si affronta l’ampia problematica dei cambiamenti climatici. In quest’ottica, tra le diverse strategie di mitigazione e contrasto verso questi, è presente la tutela e la conservazione della biodiversità come strumento di resilienza. In che modo la biodiversità agisce in tal senso?

«Certamente la tutela della biodiversità è uno strumento strategico nella lotta al cambiamento climatico. Su scala locale o regionale, boschi e foreste anche non di origine naturale hanno confermato di poter svolgere un’azione mitigatrice sugli estremi di temperatura ed inoltre hanno la capacità di preservare i suoli da fenomeni erosivi, che possono avere gravi conseguenze in determinati ambienti, per esempio quelli collinari. A scala planetaria gli effetti positivi sono prodotti anche da altri meccanismi. Per esempio, studi recenti hanno mostrato come la riforestazione sia lo strumento di gran lunga più efficiente, tra quelli veramente praticabili, per ridurre la quantità di CO2 nell’atmosfera e quindi invertire il trend di crescita delle temperature. Le stime attuali indicano la necessità di mettere a dimora diversi miliardi di alberi, ma in realtà non è un’impresa impossibile».

Uno degli impegni dell’umanità nei confronti della biodiversità è la conservazione e la tutela di essa. In questo senso, i parchi nazionali italiani rappresentano una banca importante di germoplasma. Il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, ad esempio, ospita circa 1800 specie di piante autoctone. Considerando l’alta variabilità ambientale e climatica, l’Italia può essere considerato un’area di notevole importanza da questo punto di vista; lei cosa ne pensa?

«Proprio per le sue caratteristiche di distendersi tra regioni geografiche molto diverse, l’Italia è particolarmente ricca di biodiversità. Per esempio, è lo stato europeo con il maggior numero di specie vegetali spontanee. L’Italia ha quindi un obbligo, un dovere speciale di preservare, studiare e valorizzare la propria biodiversità. È una responsabilità verso le altre nazioni e l’intera umanità. Non sono sicuro che i nostri amministratori ne siano davvero consapevoli».

Molti non sanno che la prima erosione genetica (perdita di variabilità) praticata dall’uomo è l’agricoltura. Professore può parlarci del rapporto tra agricoltura e biodiversità?

«Alcuni aspetti dell’agricoltura moderna sono in apparente contrasto con il concetto di biodiversità. Per esempio, la diversità genetica delle forme coltivate non può essere la stessa di quelle delle forme selvatiche se devono essere perseguiti obiettivi di alta produttività e uniformità del prodotto per il consumatore. Questa diminuzione è in effetti avvenuta in maniera sostanziale nel momento della “domesticazione”, cioè nel passaggio dalla forma selvatica a quelle coltivata, ad opera dei primi agricoltori, migliaia di anni fa. Il fenomeno è ben noto agli studiosi ed è chiamato ‘collo di bottiglia’ genetico. Tuttavia, demonizzare l’agricoltura moderna per questo è un atteggiamento miope. Infatti, la ridotta, almeno in senso relativo, diversità genetica nelle specie coltivate non è intrinsecamente negativa e irrimediabile, fintantoché esistano riserve di diversità genetica (per esempio, ambienti naturali dove siano presenti popolazioni delle forme selvatiche) a cui possiamo attingere. Oggi, con la disponibilità di analisi del DNA a basso costo, tale diversità genetica “di riserva” può essere studiata, salvaguardata ed utilizzata in maniera intelligente. Studi recenti mostrano che, almeno per alcune specie coltivate, la diversità genetica complessivamente disponibile sia aumentata negli ultimi anni».

La biodiversità acquista valore evolutivo sulla base delle relazioni tra geni, epigeni e sistemi ecologico indirizzate al mantenimento della vita. Ci può spiegare la correlazione tra epigenetica e biodiversità?

«L’evoluzione di una specie coltivata può avere traiettorie evolutive effettivamente complicate, a causa dell’intervento dell’uomo. Prendiamo il caso della vite, o di altre specie legnose. Un vitigno storico è propagato da millenni tramite innesto o talea. Dal punto di vista strettamente genetico, tutte le piante di tale vitigno sono identiche ed identiche alla singola pianta capostipite (esistita nel lontano passato). Si può addirittura asserire che tutte le piante siano lo stesso individuo, mantenuto in vita e propagato nello spazio e nel tempo grazie ad una sequenza ininterrotta nei secoli di centinaia di innesti. La diversità sembrerebbe praticamente nulla. Tuttavia, nel corso delle molte generazioni di innesto, è possibile che si siano accumulate modifiche fisiologiche, favorevoli all’agricoltore, non indotte da variazioni genetiche, ma invece frutto della regolazione dell’espressione genica a seguito di determinate condizioni ambientali (un particolare stress, una tipologia del suolo, etc.). Si ritiene che alcune di queste variazioni siano alla base delle peculiari caratteristiche di un vitigno, e del suo vino, allevato in una particolare zona. Questo è un meccanismo epigenetico di produzione di biodiversità utile. Ci sono altri meccanismi epigenetici più complessi, per esempio quelli in atto nelle situazioni in cui l’uomo modifica l’ambiente di coltivazione per favorire una o alcune varietà di una specie. In questo modo l’uomo riduce o annulla il ruolo dei geni della pianta e della loro variabilità nell’adattamento, e sopperisce con le proprie conoscenze di tipo culturale. Un campo molto affascinante, che gli studiosi stanno cominciando ad affrontare solo ora».

Quale ruolo giocano gli OGM e le nuove tecnologie quali quelle note come editing del gene o TEA (tecnologie di evoluzione assistita) nei confronti della biodiversità, sono una minaccia per essa?

«Con l’ingegneria genetica, e ora con le tecniche di editing o TEA in maniera molto più precisa, possiamo togliere o aggiungere uno o pochi geni ad una varietà preesistente, per renderla più resistente ad un patogeno o ad uno stress (es. siccità, freddo, etc.) oppure dotarla di una caratteristica qualitativa favorevole (es. un certo zucchero, o provitamina, ecc.) a fini alimentari o industriali. Le applicazioni possibili sono tantissime. Purtroppo, come è noto, la normativa in Europa impedisce per ora la coltivazione a pieno campo di tali varietà, riducendo di fatto la competitività delle nostre aziende agricole. Non c’è nulla nelle applicazioni delle biotecnologie OGM o TEA che causi effetti negativi sulla biodiversità, né intesa come diversità genetica della specie, né come ricchezza e complessità ecologica, né infine come offerta e ricchezza di prodotti agro-alimentari sul mercato, di cui l’Italia è particolarmente ricca. Anzi, la modifica genetica mirata tramite TEA di alcune varietà tradizionali italiane (vitigni, cultivar di olivo, etc.) rappresenta l’unica strategia disponibile per migliorarle, per esempio renderle resistenti ad un patogeno, preservandone l’identità genetica. Come vede, la presunta minaccia alla biodiversità dell’agricoltura italiana data dalle biotecnologie vegetali è solo falsa retorica».

L’Università di Bologna è una delle più antiche al mondo e la facoltà d’agraria da sempre rappresenta un punto di riferimento per la ricerca non solo in Italia, ma anche in Europa. A tal proposito volevo chiederle se ci potesse descrivere e raccontare alcuni studi che avete predisposto sulla biodiversità, anche recenti.

«I fronti su cui stiamo lavorando sono molteplici. Per esempio, alcuni miei colleghi hanno assemblato la più grande collezione al mondo di varietà di frumento duro, che è la principale specie coltivata in Italia in termini di superficie. Tale collezione include una ‘core-collection’ di circa 200 varietà che include il massimo livello di diversità genetica. Un’altra linea di ricerca attiva mira a generare variabilità genetica in una specie che ne è quasi priva in natura. Tale specie è la canna comune o Arundo donax, di potenziale importanza per la produzione di bioenergia. Infine, utilizzando strumenti di analisi di sequenze di DNA, stiamo lavorando allo studio dei microrganismi che prosperano nella frazione di suolo in stretto contatto con la radice delle colture agrarie. L’obiettivo è capire l’impatto della pianta e delle tecniche agronomiche sulla biodiversità del suolo, per preservarla o addirittura aumentarla».

Ringraziamo il prof. Salvi per la sua collaborazione e disponibilità; gli auguriamo buon lavoro per i progetti messi in campo.

© Foto di Giuseppe Manzolillo

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di Giuseppe Manzolillo

Classe '94, sono nato a Napoli, ho vissuto sin da bambino nel Vallo di Diano, dove ancora oggi vive perennemente una parte del mio cuore, a Teggiano. Sono affascinato dalle storie che raccontano gli artigiani mentre lavorano il ferro o fabbricano mobili, mi incuriosisce conoscere le storie antiche, i misteri e le leggende di quella che fu la mia gente. Adoro l’odore che proviene dai frantoi a fine novembre, il sapore delle mozzarelle calde e il suono della segheria dietro casa. Mi piacciono le montagne cilentane, le Highlands scozzesi e le colline verdi irlandesi. La mia curiosità per la natura e per la scienza, si è concretizzata con l’avvio al percorso di studi presso l’Università di Bologna, che si è conclusa con la laurea in “Scienze e Tecnologie Agrarie”. Ho sempre cercato di dare un contributo alla mia comunità, mi sono impegnato diversi anni coordinando il Forum dei Giovani di Teggiano, dove ho conosciuto splendidi compagni. Amo Martina con cui vivo a Siena, dove lavoro in uno studio professionale. Mi occuperò di scienze, ambiente e agricoltura. Credo nell’umanità. Curerà la rubrica “Alla ricerca del Genius Loci”

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