Protagonisti di un momento storico in cui il tempo, le occasioni ed i momenti di vita condivisa sembrano sfuggirci di mano, il Carpe Diem oraziano contenuto nell’Ode 1,11 sembra risuonare come un monito.
Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati,
seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
Aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
Non chiederti, non è dato saperlo, quale sorte a me e a te
abbiano assegnato gli dèi, o Leucònoe, e non interrogare le cabale di Babilonia.
È meglio, qualsiasi cosa accadrà, sopportarla,
sia che Giove ci abbia concesso molti inverni sia che questo sia l’ultimo,
che ora, contro opposte scogliere, affatica il mar
Tirreno: essendo saggia, filtra i vini, e per un breve spazio
recidi una lunga speranza. Mentre parliamo, sarà già fuggito
il tempo invidioso: afferra il presente, credendo meno che puoi nel domani.
Otto versi. Concisi, eleganti e dal messaggio eterno.
Un uomo ormai maturo, Orazio, ed una giovane donna, Leucònoe, seduti a guardare il mare in tempesta che si infrange contro gli scogli.
In questo tempo freddo e sospeso, le parole di Orazio giungono a Leucònoe e a noi lettori come un consiglio confidenziale e pacato.
Leucònoe , nome parlante derivante dal greco che significa letteralmente “dalla candida mente “, indica il brioso spirito giovanile sempre proiettato nel futuro ,sede di sogni, speranze ed aspettative .
Leucònoe siamo tutti noi, invitati a conoscere ed imparare qualcosa di strettamente essenziale: Non coltivare speranze a lungo termine, poiché non conosciamo il destino che ci attende.
Gli dèi, scrive Orazio, hanno volutamente nascosto il futuro agli esseri umani.
Sarebbe empio tentare di conoscerlo ed infruttuoso il programmare un futuro che non ci è dato conoscere come possa svolgersi.
Il “tempo invidioso” fugge imperterrito mentre noi viviamo.
È invidioso perché, se fossimo capaci di “cogliere il presente” e di goderne il più possibile, consapevoli di un futuro incerto, lo avremo, in qualche modo, demitizzato.
Ed è questo il prezioso insegnamento di Orazio: Carpe Diem, letteralmente “afferra il giorno”, è un incitamento a godere della luce di ogni singolo giorno, rendendolo produttivo, e delle piccole e grandi gioie che esso ci offre.
Orazio non ci invita a tuffarci in una sfrenata ricerca del piacere immediato quanto effimero, ma ci esorta a vivere con autentica intensità ogni momento, alla ricerca di quella felicità che il destino ci ha messo a disposizione nell’oggi e non sull’attesa di eventi che non dipendono da noi.
L’Oggi è l’unica cosa che possiamo afferrare con mano, facendo di ogni nostro giorno quello migliore.
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