Avete mai pensato che l’arte è soprattutto espressione di status e potere politico? Eppure, a Napoli ne abbiamo tanti di esempi. Una delle opere più belle che costituisce, tra l’altro, il massimo esempio del Rinascimento Napoletano è il Succorpo di Napoli: una confessio interamente marmorea, posta al di sotto dell’altare della Cattedrale, dove magnificenza e raffinatezza brillano di un bianco marmo.
Di committenza del cardinale Oliviero Carafa, i lavori per la cripta cominciano nel 1497 al fine di realizzare una degna custodia delle reliquie di San Gennaro, traslate grazie alla perseveranza del cardinale solo dopo sette anni dal ritrovamento delle stesse nel Monastero di Montevergine, per ricongiungerle finalmente al sangue del Santo già conservato in Duomo. La cripta, rappresenta il primo grande intervento architettonico di età moderna nella Cattedrale, coronato dalla pala dell’Assunzione della Vergine del celebre pittore Pietro Perugino, posta in origine sull’altare maggiore (oggi esposta nel braccio destro del transetto).
Riunire le reliquie più importanti del napoletano in un unico sito costituiva un’azione politica importantissima che conferiva onore al cardinale committente (non è un caso d’altronde che fosse lì sepolto) e lustro alla cattedrale, grazie ad un maggiore afflusso di pellegrini.
Il termine succorpo, nasce durante gli inizi della costruzione, dapprima nel senso popolare e simbolico di “corpo”, quello del Santo per l’appunto; in un secondo momento le fonti sottolineano il dato topografico, sostenendo l’accezione di “giuso (chiuso) in corpo” o “in corpore eccelesiae”.

A differenza dell’altra cappella Carafa posta in Santa Maria Sopra Minerva a Roma, interamente affrescata dal pittore Filippino Lippi, questa napoletana colpisce per la totale presenza del marmo che conferisce magnificenza e monumentalità conforme al rango e al ruolo del committente.
In effetti, due rampe di scale conducono ad un corpo rettangolare interamente marmoreo: il pavimento è decorato in marmi policromi, il soffitto è in marmo cassettonato, due file di cinque colonne di spoglio dividono lo spazio in tre navate e ai lati vi sono delle cappelle. Impreziosisce la scena la bellissima e commovente scultura del cardinale, forse un tempo collocata diversamente, che si presenta in preghiera e in ginocchio di fronte alla scarsella che custodisce le reliquie. Un motivo iconografico questo abbastanza noto presso i sovrani aragonesi, volto a sottolineare l’incidenza del ruolo del cardinale nel grande affare della traslazione delle reliquie di San Gennaro.
L’intera cripta è un tripudio di antichità e santità, che insieme scandiscono l’intero programma iconografico in tre stadi: la statua del cardinale in posizione orante rappresenta il terreno; le nicchie laterali sono decorate da ghirlande, putti e miti classici che afferiscono al tema della transazione; il soffitto cassettonato riconduce al divino, accogliendo le immagini dei santi, dei dottori della chiesa, della Vergine con Bambino e dello stesso Santo Patrono.

L’ opera è attribuita alla bottega di Tommaso Malvito di Como, già attivo a Napoli da un decennio, assieme alla presunta partecipazione di Bramante forse proprio nella progettazione. Secondo fonti coeve i lavori si sarebbero conclusi nel corso del 1508. Questi, sottolineano il carattere politico di una propaganda visiva, dove lo stemma più volte raffigurato, la statua orante e la magnificenza del marmo, volgono alla commemorazione di un cardinale potente e influente nel contesto cittadino, che seppe dipingersi come grande mecenate ed eroe: in effetti, la traslazione non era stata facile e nel frattempo il cardinale aveva concorso con l’umanista Pontano per il ruolo di mediatore tra il Re e il Papa nella sollecitazione del rientro dei sacri resti. Se l’arte è soprattutto espressione politica, ecco come il Succorpo divenne occasione per sottolineare e ribadire attraverso un’opera monumentale chi fosse e che potere avesse a quel tempo l’autorevole cardinale Oliviero Carafa.
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