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Recensione del libro “Così ha inizio il male” di Javier Marías

“Thus bad begins and worse remains behind”. Per evitare l’inizio del male, il peggio deve essere taciuto.

“Così ha inizio il male ed il peggio resta indietro”. Questa è la citazione shakespeariana che influenza Javier Marías nel titolo del suo romanzo. Infatti per comprendere l’atteggiamento sprezzante che il regista Eduardo Muriel ha nei confronti di sua moglie Beatriz Noguera è necessario tornare indietro nel tempo, a quel momento in cui il peggio è stato compiuto e successivamente rivelato da lei stessa, firmando la sua condanna e attirandosi l’odio del marito per sempre. Dunque, è stata la rivelazione a dare inizio al male, non tanto il fatto di aver compiuto qualcosa di anche peggio. Se lei lo avesse tenuto come segreto e avesse continuato nell’inganno, il marito avrebbe continuato ad amarla.

Prima di parlare della trama, va detta qualche parola sul contesto storico in cui questo libro è ambientato. La storia si svolge agli inizi degli anni ’80, precisamente nel 1980, in Spagna, dove da soli cinque anni è finita la terribile dittatura di Francisco Franco. Le conseguenze della dittatura hanno un peso specifico nella storia. In effetti quel periodo durato dal 1939 al 1975 ha lasciato una ferita profonda nelle famiglie dei dissidenti e ampie macchie nella coscienza di coloro che, invece, il regime franchista lo avevano appoggiato. Tuttavia, dopo la fine del regime, si era deciso di “dimenticare” qualsiasi ingiustizia commessa, impedendo ai dissidenti sopravvissuti di avere un risarcimento per i crimini perpetrati contro di loro. Nessuno era stato punito in nome di un quieto vivere che, in fondo, andava bene quasi a tutti dopo il sangue versato e le battaglie per la libertà. Sebbene niente potesse impedire a delle voci di propagarsi, in modo più o meno celato, gli scempi stavano venendo a galla.

Al centro del romanzo vi è il matrimonio infelice tra Eduardo e Beatriz, un legame che è diventato una gabbia in cui il marito tratta male la moglie, affibbiandole degli appellativi davvero poco carini. Lei sembra accettare passivamente questo atteggiamento in nome di un amore antico che era stato interrotto da una sua colpa. Se Beatriz ritiene questa colpa “una sciocchezza, una bambinata”, per Muriel invece è un torto grave che non può essere perdonato. Il torto più grave risiede, però, non tanto nell’inganno in sé, ma nel fatto di aver svelato l’inganno di cui si era resa artefice. Infatti, Eduardo dice che è come se lei avesse sbagliato due volte: avrebbe fatto molto meglio a tacere.

Queste dinamiche coniugali molto misteriose vengono narrate dal giovane assistente Juan de Vere, il quale capirà soltanto molto tardi le motivazioni dell’odio di Eduardo, quando sarà lui a parlargliene. Ciò che Juan vede, in un primo momento, è soltanto una cattiveria ingiustificata e inspiegabile, considerato il fatto che Eduardo è una persona molto affabile con chiunque eccetto che con Beatriz. Dall’altra parte questa donna è stata resa molto insicura e psicologicamente instabile dalla situazione che vive quotidianamente. Passa periodi chiusa nella sua stanza ad ascoltare il battito del metronomo senza riuscire a suonare neanche una nota al pianoforte. Questa metafora del metronomo che scorre come se Beatriz volesse farsi in qualche modo notare dal marito che ormai trova ripugnante la sua presenza è molto bella e ricorrente e porta il lettore ad empatizzare con lei nella prima parte del romanzo.

Se non è chiara la colpa che ha interrotto l’amore, un’altra cosa a non essere chiara è il ruolo di Juan all’interno della famiglia perché oltre ad essere un assistente, lui si guadagna la stima del regista diventando il suo confidente. Complice l’inesperienza della sua giovane età, si lascia coinvolgere in questioni troppo personali. Per conto di Eduardo, comincia ad indagare sul passato losco del medico Van Vechten, ex franchista che si è guadagnato la fama di persona magnanima curando i figli dei dissidenti gratuitamente. Tuttavia, ad Eduardo sono giunte delle voci poco lusinghiere su quest’amico e vuole saperne di più servendosi, per l’appunto, del giovane Juan che accetta senza lasciarselo dire due volte, preso anche lui dalla curiosità. Le cose che scoprirà sul conto del dottore sono davvero terribili. Eppure, nel momento in cui vorrà rivelarle ad Eduardo, lui non sarà più disposto ad ascoltare. Il motivo per cui non vuole più sentire cose sconce sul passato di Van Vechten è che, nel frattempo, gli è diventato debitore siccome quest’ultimo ha salvato la vita di Beatriz, incorsa nell’ennesimo tentativo di suicidio.

Le vicende del romanzo sono molto intricate, ma soprattutto sono tutte basate sull’ambiguità, sul dualismo, sulla menzogna. Non c’è una netta contrapposizione tra vittima e carnefice perché, in modo alternato, tutti possono assumere quel ruolo in base al punto di vista che si assume. Anche Beatriz, la vittima per antonomasia, ad un certo punto sembra essere la carnefice che ha negato la felicità ad Eduardo. Quando viene svelato l’arcano è come se la narrazione si capovolgesse, mostrando che tutti hanno la loro porzione di malvagità, la quale ha contribuito a dare “inizio al male”. E quando il male ha inizio, il peggio può anche restare indietro ma non si può mai cancellare del tutto.

A questo punto al lettore viene da chiedersi come ci si può salvare da tutto ciò. Marias dà una propria chiave tutta racchiusa nell’ultima frase del romanzo “No, niente parole”. Le parole, a differenza di quanto si pensi, possono rovinare i rapporti e, dunque, è preferibile lasciare qualcosa di “non detto”, un’omissione che non comprometta il bene o l’amore. In occasioni come quella esposta nel romanzo, i segreti sono preziosi e divengono l’unico modo per preservarci dal male.

di Licia Crispini

Classe '96, laureata in “Archeologia e Storia dell'Arte” all’Università degli Studi di Napoli Federico II. Fin da piccola matura uno spiccato interesse verso l’arte, il teatro e la cultura che la spinge a cercare una strada in questa direzione, infatti, dal 2011, prende parte, nelle vesti di attrice, agli spettacoli messi in scena dall’associazione “Artenauta Teatro”. Continua la propria formazione teatrale attraverso la partecipazione a stage e seminari con attori di fama nazionale. Nel 2016 poi sceglie di condividere gli intenti di tutela e di valorizzazione del patrimonio storico-artistico, in particolare del Castello del Parco Fienga di Nocera Inferiore e collabora attivamente alle iniziative dell’associazione “Ridiamo vita al castello”. Da pochi mesi è impegnata anche in un nuovo progetto concernente la promozione delle attività culturali e turistiche nei comuni dell’entroterra cilentano. Fortemente convinta che il primo passo verso la tutela sia la conoscenza, ritiene indispensabile avvicinare le persone alla riflessione sulle bellezze artistiche, storiche e paesaggistiche e si impegna a diffondere i suoi ideali con passione per un mondo più sensibile all’arte, ergo migliore. Curerà la rubrica “Sentieri, Storie e Territori”

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