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Scienza – Enormi radiografie per studiare vulcani e piramidi

Come sfruttare particelle microscopiche per indagare strutture di grandi dimensioni con le radiografie muoniche

Meno di cento anni fa, quando questa particella è stata scoperta, nessuno avrebbe immaginato il suo grande potenziale. Si tratta del muone, una particella con una massa circa duecento volte quella di un comune elettrone e con un’energia tale che gli permette di attraversare la materia. Questa particella si produce dall’interazione dei raggi cosmici, particelle provenienti dall’Universo, con la nostra atmosfera.

Al contrario dei raggi X utilizzati nelle comuni radiografie, che non possono attraversare più di qualche metro di roccia, i muoni perdono energia attraversando grandi spessori di materiali (dell’ordine dei chilometri). Pertanto posso essere sfruttati per investigare oggetti molto più grandi, come ad esempio i vulcani, perché hanno una capacità di penetrazione nella materia molto maggiore. In questo modo è possibile determinare spessore, tipologia e densità del materiale attraversato. Basta misurare l’energia assorbita o il numero di muoni che arriva al rivelatore. E’ così possibile ottenere immagini molto simili alle radiografie chiamate per l’appunto muografie

Alla ricerca dei segreti delle Piramidi

La prima applicazione di questa tecnica risale agli anni ‘60. Essa venne impiegata in campo archeologico per studiare la struttura della piramide di Chephren (situata nella piana di Giza insieme a quella di Cheope). Lo scopo era la ricerca di camere e passaggi segreti ancora da scoprire. Il premio Nobel Alvarez fece installare proprio qui un rivelatore di muoni nella camera centrale per effettuare la prima muografia di una piramide. Sebbene venne dimostrato che non esistesse alcuna camera oltre a quelle già conosciute, questa tecnica evitò interventi invasivi. 

Vulcani sotto osservazione

Successivamente è stato il turno dei vulcani: installando un rivelatore alla base è infatti possibile avere informazioni sui condotti magmatici che hanno una densità diversa dalla roccia circostante e sulla caldera dei vulcani. Protagonista di uno studio di questo tipo è stato il vulcano giapponese Asama prima e dopo l’eruzione del 2009. Misure simili sono state fatte anche per lo Stromboli e per il Vesuvio ad opera dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) in collaborazione con i ricercatori giapponesi. 

Le potenziali applicazioni di questa tecnica sono davvero numerose. Basti pensare allo studio delle camere nascoste delle piramidi, la distribuzione del magma nei vulcani fino allo studio del reattore danneggiato di Fukushima. Con i muoni cosmici è anche possibile, tra l’altro, analizzare oggetti molto densi come materiali radioattivi illegalmente trasportati all’interno di containers. E pensare che tutto è partito come sempre dalla semplice scoperta di una particella, a riprova dell’importanza della ricerca di base che, oltre a rappresentare un forte desiderio di conoscenza, è anche la spinta del progresso tecnologico. 

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di Marianna Fusco

Una mente scientifica e un'anima letteraria, affascinata da qualsiasi cosa abbia una storia da raccontare. Curerà la rubrica “Reticoli di Idee”

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