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Donne: la violenza fa parte dei rischi del mestiere?

La Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che ricorre il 25 novembre, è da poco passata. Sui social tutte le bacheche sono state invase da scarpe di colore rosso, frasi di William Shakespeare e Frida Kahlo e foto di decine di panchine rosse inaugurate dai Comuni di mezza Italia. Una giornata importante, sicuramente di grande partecipazione mediatica ed emotiva, ma – ahimè – troppo spesso fine a se stessa

Solo di pochi giorni fa è la notizia della giornalista Greta Beccaglia, molestata in diretta televisiva. Oltre al disinteresse degli astanti – per non parlare dell’indifferenza del cameraman, delle affermazioni del conduttore in studio e di chi organizza cene di solidarietà per il molestatore – la vera doccia fredda è la mancata solidarietà di non poche donne del web. Peccato, poi, che alcuni di quelli che giustamente difendono la Beccaglia, predicando civiltà, abbiano dato il via al linciaggio mediatico contro il ristoratore marchigiano. Violenza che genera violenza; ma davvero viviamo ancora immersi nella mentalità della legge del taglione?

La violenza di genere rappresenta un fardello pesante: riconoscerla come ormai incontrollata, diffusa e multiforme costringerebbe a riconoscere il fatto che l’Italia dovrà attuare strategie serie ed efficaci per arginarla. Ne è l’esempio lampante la notizia del recente stupro di una ragazza di 21 anni consumato su un treno diretto a Varese e il successivo tentativo di stupro di una coetanea da parte degli stessi due violentatori che, incuranti dell’abominio commesso, sono stati presto intercettati grazie a una segnalazione per schiamazzi.

La direzione centrale della Polizia Criminale ha stimato nel 2021 una media di 11 stupri e abusi al giorno, considerando solo quelli denunciati. Aggiungendo poi tutti gli altri reati contro quelli che vengono considerati i più deboli, si raggiungono numeri mostruosi, sentinelle di un problema generale di rispetto, educazione, cultura. «È colpa dello Stato» gridano alcuni; «La colpa è della scuola, invece» rispondono altri; «Il problema sta nelle famiglie» affermano altri ancora.

E nel gioco dello scaricabarile, ci dimentichiamo che lo Stato, la scuola, la famiglia siamo noi; che le donne e gli uomini da educare siamo noi; che le donne e gli uomini da punire siamo noi. Così, mentre assistiamo attoniti all’ennesimo caso di femminicidio, di violenza domestica o sessuale; mentre ancora poche donne denunciano e troppi uomini non le credono, o minimizzano; mentre l’ennesima baby gang picchia senza pietà un ragazzino omosessuale e mentre un ragazzo di colore viene pestato a sangue dal boss di quartiere, in Italia ci impegniamo a contestare le scelte arbitrali del direttore di gara di una partita qualsiasi.

È che ci stiamo arrendendo. Ci stiamo arrendendo al livore, alla crudeltà, alla barbarie; ci stiamo arrendendo a una società violenta, spietata e disumana, ma soprattutto ci stiamo nascondendo dietro responsabilità altrui, che sono – in realtà – in parte anche nostre.

È fondamentale continuare a denunciare, a scandalizzarci e ad esercitare l’arma umana della sensibilità, perché è la rassegnazione il sentimento che lascia spazio all’efferatezza, al degrado e al malcostume… e che uccide la civiltà!


Se sei vittima di violenza, chiama le Forze dell’ordine o il 1522. Se vedi qualcuno che riproduce i movimenti qui sotto riportati, allerta le Forze dell’Ordine o il 1522.

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di Rosa Elefante

Studentessa non ancora esaurita, idealista non ancora disillusa, sognatrice non ancora sveglia. Curerà la rubrica “Sentieri, Storie e Territori”

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