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Man Ray e le interpretazioni dell’immagine: la fotografia diventa opera d’arte

Fotografo ciò che non voglio dipingere, ciò che ha già un’anima“. Emmanuel Radnitzsky, detto anche Man Ray , rappresenta una delle personalità più complesse, affascinanti e avanguardiste del XX secolo

Pittore, fotografo e ritrattista, nasce a Filadelfia nel 1890 da una famiglia ebraica. Intraprende dapprima la carriera di pittore, per poi successivamente approcciare alla fotografia, incuriosito dal pioniere dell’arte fotografica, Alfred Stieglitz. Al contempo matura una forte attrazione per i movimenti francesi del dadaismo e del surrealismo, tanto da trasferirsi in Francia nel 1921.

Conosce Marcel Duchamp e Francis Picabia, e sperimenta nuove forme d’espressione, attraverso la fotografia, il collage, il ready made, la pittura, l’aerografia, sviluppando un concetto di arte anticonvenzionale e maturando l’idea che ogni oggetto possa essere arte e avere molteplici interpretazioni. Va da sé, che tutto ciò che viene rappresentato, realizzato o catturato attraverso uno scatto, va guardato con occhi diversi.

A tal proposito, si ricordano in particolare, le rayographs (dal nome dell’artista): la realizzazione di composizioni astratte ottenute ponendo degli oggetti sulla carta fotografica ancora sensibile in camera oscura. La creazione, quindi, di fotogrammi senza l’uso dello scatto. Una tecnica interessante che immortala immagini deformate e chimere.

Man Ray, Piume e scatole di fiammiferi 1923. Yale University Art Gallery

Proprio il concetto della molteplicità di significati rappresenta l’aspetto più affascinante della sua produzione: in effetti, una delle delle opere più rappresentative è le Violon d’Ingres, fotografia del 1924, in cui l’artista immortala la schiena nuda della cantante francese Alice Prin, anche detta Kiki Montparnasse, che diventa la sua modella preferita e se ne innamora.

La schiena nuda presenta due elegantissime effe proprio a richiamare la figura del violoncello. Il riferimento ad Jean-Auguste-Dominique Ingres è duplice, non solo citando la passione dell’artista ottocentesco per la musica ( era noto che fosse un bravissimo violinista); ma in particolare il riferimento è esplicito alle eleganti schiene nude delle odalische protagoniste dei suoi dipinti: schiene sinuose e arabesche. Uno dei dipinti più rappresentativi di Ingres che sembra anticipare di oltre un secolo la fotografia di Ray è Bagnante di Volpiçon del 1808, in cui la donna è girata di spalle e indossa un turnante, esplicito riferimento al gusto esotico che invase l’Occidente in quegli anni, e che Ingres coglie e raffigura nelle sue opere.

Man Ray, Violon d’Ingres 1924.

Conforme al movimento dada l’opera di Man Ray è provocatoria: la dedizione alla passione per il violino di Ingres si tramuta in Ray nella dedizione alla passione dell’artista per le donne, vizio e peccatuccio della società borghese del tempo.

L’ironia nella visione delle cose e l’atmosfera di gioco con la quale le forme diventano fluide e sempre in una evoluzione di interpretazioni sono il frutto di influenze di pensiero, che Man Ray sviluppa in un ambiente culturalmente ricco, quale quello parigino degli anni venti e trenta del Novecento. In effetti, grazie ai movimenti artistici intellettuali dell’epoca e la sua attività di fotografo ritrattista, Man Ray ha modo di conoscere importanti personalità, quali James Joyce, Gertrude Stein, Jean Cocteau, André Breton, Meret Oppenheim, e ancora altri.

Jean-Auguste Dominique Ingres, la Bagneuse de Volpiçon 1808, Louvre.

È proprio in questi anni che raggiunge il massimo successo, infatti, fotografando per importanti riviste di moda, quali Vogue, Harper’s , Vanity Fair.

Resta negli anni in costante ricerca di nuove sperimentazioni, volte sempre di più a ridurre e confondere quella distanza tra realtà e illusione: celebre esempio è la fotografia Les Larmes, in cui le lacrime della ballerina sembrano essere perle; o Elevage de poussière, un panorama complesso e polveroso, che altro non è che la riproduzione di un angolo di un grande vetro, proveniente dallo studio di Duchamp. Perseguì per tutta la carriera artistica la ricerca di diverse letture del reale e nuove tecniche espressive, come la solarizzazione.

Negli anni quaranta fugge in America a causa della seconda guerra mondiale e sposa la modella e ballerina Juliet Browner. Nel 1951 torna in Francia, dove trascorre gli ultimi vent’anni. Si spegne nel 1976. Tra i maggiori riconoscimenti si ricorda la Medaglia d’oro per la fotografia, ottenuta nel 1961 alla Biennale di Venezia.

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di Rosaria Esposito

Classe '96, diplomata al liceo classico "Cneo Nevio" di Santa Maria Capua Vetere (CE) e laureata in “Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali” all’Università degli Studi di Napoli Federico II. A metà tra un approccio storico-artistico ed uno economico-gestionale, costruisce una figura professionale capace di muoversi nei campi della cultura, conservazione e valorizzazione del patrimonio. Dà un respiro internazionale al suo profilo studiando a Lille, tra il 2017 e il 2018, attraverso al Programma Erasmus+. L’esperienza di tirocinio extracurriculare presso il “Pio Monte della Misericordia” a Napoli la spinge ad iscriversi, nel 2019, al corso di laurea magistrale in “Archeologia e Storia dell’Arte”. Tuttavia, non abbandona il suo interesse verso la valorizzazione e la gestione: grazie all’associazione “Napulitanata”, studia da vicino dinamiche interne volte alla promozione culturale territoriale e la programmazione degli eventi che da sempre l’affascinano. Ambiziosa e curiosa è una grande amante dei libri e dei viaggi. Per lei la lettura ha un grande valore culturale: leggere significa avere sete di conoscenza, essere aperti al mondo e non essere mai stanchi di stupirsi. Curerà la rubrica “Pillole d’Arte”

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