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Il gioco e l’azzardo: un fenomeno in forte crescita

«Per quanto sia ridicolo che io mi aspetti tanto dalla roulette, mi sembra ancora più ridicola l’opinione corrente, da tutti accettata, che è assurdo e stupido aspettarsi qualcosa dal gioco. Perché il gioco dovrebbe essere peggiore di qualsiasi altro mezzo per far quattrini come, per esempio, del commercio? Vero è che, su cento, uno solo vince, ma a me che importa?»

Fëdor Michajlovič Dostoevskij

Il gioco è una delle più importanti forme di cultura dell’uomo.

Si impara a giocare fin da bambini: si inizia con la diade madre-bambino, per poi iniziare a confrontarsi con il mondo e a giocare con esso; in seguito poi si gioca con le varie persone che fanno parte della rete sociale della famiglia, passando per il gruppo dei pari.

Il gioco è, quindi, un’attività essenziale sia per lo sviluppo che per il benessere psico-fisico, in quanto facilita la crescita e la socializzazione, oltre che a rappresentare una piacevole evasione – anche se temporanea – dalla quotidianità. Scriveva Eugen Fink “Il gioco rassomiglia a un’oasi di gioia, raggiunta nel deserto del nostro tendere e della nostra tantalica ricerca. Il gioco ci rapisce. Giocando siamo un po’ liberati dall’ingranaggio della vita, come trasferiti in un altro mondo…”; difficilmente possiamo dirci in disaccordo con questa affermazione poiché chiunque di noi sperimenta queste sensazioni nel momento in cui è impegnato in attività di gioco.

Il gioco altro non è che un’azione libera e “non seria” ma che si impossessa del giocatore per un periodo di tempo circoscritto, in quanto dura per un tempo più o meno limitato. L’antropologo Roger Caillois ha proposto un’interessante categorizzazione del gioco: abbiamo, infatti, il gioco di competizione (Agon), di travestimento (Mimicry), di vertigine (Ilinx) e di casualità (Alea).

Quando si può parlare di gioco d’azzardo?

La presenza dell’Alea (che in latino significa “dadi”) determina se un gioco è oppure no d’azzardo.

Il gioco d’azzardo (parola che deriverebbe da az-zahr, un antico gioco orientale con tre dadi) deve presentare però altre tre condizioni: la necessità di scommettere una somma di denaro o un oggetto di valore, la non revocabilità della scommessa, e il fatto che l’esito della stessa dipende da fattori casuali.

Non è escluso però che in alcuni giochi d’azzardo sono presenti anche altri aspetti oltre all’Alea: è il caso del poker, in cui si ritrovano un po’ tutte le dimensioni citate prima: le carte buone (Alea), l’abilità del giocatore (Agon), il bluff (Mimicry) e il senso di vertigine (Ilinx) che alcuni giocatori riferiscono.

I giochi di alea, quindi, si caratterizzano perché in questo caso la sfida è con il destino e non con altre persone, caratteristica che rende il gioco d’azzardo peculiare dell’uomo in quanto, sebbene gli animali mettono in pratica giochi di competizione o di vertigine, difatti, non sono capaci di immaginarsi un fattore esterno da sfidare o con cui mettersi alla prova, come fa l’uomo quando sfida il destino nel gioco d’azzardo.

Ma il gioco d’azzardo non solo è una sfida al caso ma spesso richiede una strategia o un pensiero che possano guidare il giocatore nelle sue scelte, come, ad esempio, quali numeri giocare, quale tasto premere, che mano usare. Essendo però il gioco d’azzardo frutto di fattori casuali, spesso il giocatore associa i segnali esterni come un indizio che possa poi orientare le proprie strategie di gioco (ad esempio, tornare a scommettere nello centro scommesse dove si è ottenuti una vincita la settimana prima oppure cambiare il luogo di gioco in seguito alle numerose sconfitte).

Questi “segnali magici” diventano poi una vera e propria guida per il giocatore che finisce per mettere in discussione il fatto che il gioco sia governato dal caso e pensa che, in un certo senso, si possa vincere affidandosi alle proprie strategie. È proprio questo il fattore che spesso trasforma il gioco d’azzardo da ricreativo in patologico poiché, nella fattispecie, il giocatore si ingegna nel trovare metodi di gioco che possano sovvertire le leggi del caso. C’è da dire però che il criterio per definire la differenza tra giocatore occasionale e giocatore patologico non è tanto la presenza/assenza del pensiero magico, piuttosto la pervasività di tale pensiero che diventa a tratti invasivo ed incontrollabile.

Oltre alla negazione dell’ineluttabilità del caso, altro fattore da tenere in conto è quello dell’illusione del controllo, in quanto il giocatore patologico è convinto che con i suoi gesti possa addirittura incidere sul corso degli eventi, un po’ come quando un giocatore, giocando ai dadi, può lanciare i dadi rapidamente e con forza quando vuole ottenere un numero alto oppure con minor forza quando vuole ottenere un numero basso.

Sebbene sia palese che questo fenomeno sia assurdo ed inverosimile, il giocatore patologico crede in questo meccanismo, che finisce poi diventare una vera e propria trappola.

Dalla normalità alla patologia

Oltre a questi meccanismi, nella formazione di un disturbo d’azzardo patologico concorrono anche altri fattori, come ad esempio i fattori biologici in quanto nei giocatori patologici sono stati riscontrati bassi livelli di noradrenalina, quindi il gioco servirebbe per ricercare emozioni e sensazioni che possano far sentire la persona gratificata; da non trascurare nemmeno i fattori ambientali (il ceto sociale d’appartenenza, la cultura di un paese, i mass-media) che sarebbero più importanti di quelli biologici.

Nella maggior parte dei casi, questo disturbo si configura nel corso del tempo, in quanto all’inizio il gioco viene usato in modo ricreativo e difficilmente si diventa giocatori patologici dopo una sola giocata. Alcuni studi sui giocatori d’azzardo hanno rivelato che la depressione e lo stress accentuano il bisogno di rischiare al gioco, come fosse un’evasione dai problemi della vita.

Gioco d'Azzardo Patologico: rischi e strategie di prevenzione

Secondo alcuni, il giocatore patologico sarebbe alla costante ricerca di danaro mentre ormai è appurato che il bisogno di giocare non è finalizzato alla speranza della vincita quanto piuttosto alla ricerca dell’eccitazione e del brivido che arrivano dopo una puntata al gioco. Una persona con dipendenza da gioco difficilmente si rende conto o ammette il proprio problema, infatti, tende a nascondere o a minimizzare il proprio vizio.

Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, giunto nel 2013 alla quinta edizione (DSM 5), gli individui con dipendenza da gioco manifestano i seguenti sintomi e segni:

  • provano un brivido ogniqualvolta si prendono un grande rischio giocando d’azzardo;
  • tendono a prendersi rischi sempre più grandi;
  • vivono e si preoccupano per il gioco d’azzardo;
  • giocano d’azzardo per fuggire dalla depressione, dalle debolezze o da alcune incombenze imposte dalla vita;
  • sottraggono tempo al lavoro o alla famiglia per giocare d’azzardo;
  • mentono riguardo a tutto ciò che riguarda il gioco d’azzardo o nascondono di avere il vizio del gioco;
  • si sentono in colpa o provano rimorso dopo aver giocato;
  • chiedono prestiti o rubano soldi, per poter giocare;
  • abbandonano ripetutamente ogni proposito di non giocare più d’azzardo.

Se si pensa o si teme di essere affetti da una dipendenza da gioco bisogna subito rivolgersi ad un esperto poiché una remissione spontanea, seppur non impossibile, è alquanto improbabile.

© IL QUOTIDIANO ONLINE 2021 RIPRODUZIONE RISERVATA

di Antonio Siani

Classe '89, psicologo-psicoterapeuta, vive a Castel San Giorgio. Appassionato (non praticante) di sport, in particolare di calcio, nutre interessi anche per la lettura e per la musica. Dopo essersi diplomato presso il Liceo Scientifico “N. Sensale" di Nocera Inferiore, si iscrive alla facoltà di “Psicologia” dell’allora Seconda Università degli Studi di Napoli. Dopo essersi laureato, svolge diversi tirocini, tra cui, al Servizio Dipendenze di Cava de Tirreni, al Distretto di Salute Mentale di Nocera Inferiore e presso il Servizio di Psichiatria del nosocomio nocerino “Umberto I”. È durante queste esperienze che ha potuto conoscere le problematiche e i bisogni del territorio in cui vive. In seguito, si è occupato di formazione e di insegnamento, dando spazio anche ai campi estivi per bambini e ragazzi, esperienza che gli ha permesso una crescita non solo professionale ma anche e soprattutto umana. Attualmente si occupa di Disturbi dell’Apprendimento, Disturbi d’ansia, disturbi depressivi e autismo, oltre ad essere consulente psicoterapeuta presso una RSA della zona. Curerà la rubrica “ApertaMente”

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