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Ripartiamo dal Manifesto di Ventotene!

«È perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non sarebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile».

Partendo da queste parole di Max Weber, Altiero Spinelli immagina un suo progetto di un’Europa politica e federale, fondata sulla cooperazione e sull’integrazione.

Il Manifesto di Ventotène

Il Manifesto di Ventotène rappresenta gli albori dell’ideale europeo; in un momento complicato come la Seconda guerra mondiale, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni (che del Manifesto fu editore e prefatore) realizzarono nel 1941 – mentre erano confinati sull’isola – un manifesto che avrebbe cambiato di lì a poco l’assetto politico e sociale europeo. Nella stesura del Manifesto, Spinelli si occupò di redigere la parte sul federalismo e sulla costruzione di un organismo sovranazionale dotato di autonomia decisionale; Rossi, invece, si concentrò sulla parte economica.

Il testo quando venne ultimato e fatto pervenire agli antifascisti dell’isola, si verificarono crepe qui e là. Un esempio è Sandro Pertini – che inizialmente aveva dato adesione -, venne fatto ricusare per disciplina del partito. Altri, invece, come Riccardo Bauer, accusarono di superficialità Spinelli e gli altri.

L’idea vincente del Manifesto , secondo i più, era la creazione di una Europa federale liberamente eletta, dotata di un esercito comune, capace di inserirsi in un contesto ampio e complesso, dialogando con le altre potenze mondiali.

Eugenio Colorni nella prefazione scrive: «Si fece strada, nella mente di alcuni, l’idea centrale che la contraddizione essenziale, responsabile delle crisi, delle guerre, delle miserie e degli sfruttamenti che travagliano la nostra società, è l’esistenza di stati sovrani, geograficamente, economicamente, militarmente individuati, consideranti gli altri stati come concorrenti e potenziali nemici, viventi gli uni rispetto agli altri in una situazione di perpetuo bellum omnium contra omnes».

L’esperienza dei nazionalismi, della sacralizzazione della nazione, o, volendo, l’esperienza della deificazione di uno Stato comportò un malessere e una disaffezione tale da ripudiare lo stato stesso. È come se lo Stato avesse esaurito la sua funzione storica e si fosse trasformato in altro.

Dal punto di vista federalista, la crisi poteva essere superata se si superava l’idea stessa di nazione. Appariva urgente costruire nuovi soggetti, nuove realtà, nuove appartenenze capaci di pacificare e intensificare le relazioni internazionali.

Oramai una politica volta al raggiungimento del sovranismo nazionale non appariva plausibile e democratica.

Questo è un ulteriore punto del Manifesto di Ventotène. Una linea di demarcazione sempre più netta tra politiche progressiste e reazionarie: tutto veniva pensato in vista della creazione di una realtà internazionale, che mettesse da parte il nazionalismo, per perseguire la libertà e la collaborazione.

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«La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale – e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità – e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale».

Queste le parole di Spinelli all’interno del Manifesto. Appare evidente quale fosse lo stato d’animo degli autori in quegli anni nei confronti di politiche reazionarie ed eccessivamente nazionaliste. Ed è così che ad 80 anni dalla pubblicazione di questo Manifesto, abbiamo la necessità di fissare dei punti, delle linee guida, che ci indicano la via migliore per raggiungere e realizzare quel sogno che vacilla ad affermarsi pienamente e con vigore.

Occorre un cambio di rotta da radicale, che veda lo scenario politico internazionale intriso di speranze, competenze e lungimiranza, con i protagonisti che da sempre cercano di appropriarsi di quelli spazi che sono loro di diritto: i giovani.

Occorre partire dalle nostre radici, stabili e forti.

© IL QUOTIDIANO ONLINE 2021 RIPRODUZIONE RISERVATA

di Rosario Madaio

Classe '96, abito a Castelcivita, in provincia di Salerno. Scrivere è stata sempre una passione e il giornalista incarna perfettamente questo sentimento. Raccontare una storia, viverla, immedesimarsi nei personaggi, cercando di essere il più oggettivi possibile.

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