Raccontato da Platone all’inizio del libro settimo de “La Repubblica”, il mito della caverna rappresenta una delle sue allegorie più famose riguardo la condizione umana rispetto all’ignoranza che oscura la vera conoscenza della realtà
Il mito è ambientato in una caverna buia e profonda all’interno della quale vivono, fin dall’infanzia, persone incatenate così strettamente da non poter neanche girare la testa. Con lo sguardo rivolto verso la parete di fondo, ogni giorno vedono riflesse sul muro delle ombre corrispondenti a statuette sporgenti dal muro situato alle loro spalle. Dietro tale muro, si muovono, senza essere visti, i portatori delle statuette che, grazie alla presenza di un grande fuoco, proiettano delle immagini che i prigionieri ritengono essere la sola realtà esistente.
Vi è una svolta nel racconto quando un prigioniero, stanco della sua condizione e riuscitosi a liberare dalle catene, scappa via. Accecato dalla luce, vorrebbe tornare indietro, ma la sua voglia di conoscenza lo porta ad esplorare il mondo esterno e a rendersi conto che tutto ciò in cui aveva creduto per una vita intera non era che un’illusione, frutto della sua condizione di ignoranza e di prigionia.
Preso dall’entusiasmo della scoperta, l’uomo si affretta a divulgare la sua scoperta ai compagni, affinché anche loro possano godere di questa nuova libertà, ma, non essendo creduto dagli altri molto indispettiti dalla sua insolenza, viene ucciso così da ripristinare quella prigionia tacitamente accettata da tutti.
Nonostante siano trascorsi millenni dalla stesura di questo mito, esso è più attuale che mai.
Platone volle lasciare alle generazioni postume il mito della caverna con lo scopo di aprire le menti chiuse, incatenate nella caverna oscura dell’ignoranza, piaga ancora oggi molto presente. Pur essendo inconsapevoli di ciò, ogni giorno per noi vi è un’eterna lotta con catene che ci costringono a porre l’attenzione “non alle cose vere, ma alle ombre proiettate sul muro“.
Il nostro muro, sebbene virtuale, è il display: tv, smartphone, tablet e pc sono gli strumenti che annebbiano la nostra vista e la nostra mente.
Che si tratti del prigioniero della caverna platonica o del prigioniero digitale degli anni 2000, colui che riesce ad eludere la realtà artefatta in cui è calato, diventa un rivoluzionario che, allontanandosi dalle catene e dal caricabatteria, cerca di aiutare i suoi compagni ad aver coscienza delle cose concrete della vita e a praticare la conoscenza, unico strumento per distinguere le ombre e gli artifizi dei media dalla realtà, concedendosi il più prezioso tra i lussi: la felicità.

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