In cima all’Acropoli, testimonianza tangibile del passato illustre dell’Antica Grecia e della città di Atene, si erge il tempio sacro dell’Eretteo, caratterizzato da una loggetta sorretta da splendide figure femminili: le Cariatidi.
Varie sono le ipotesi e le fonti dalle quali possiamo attingere informazioni riguardo queste donne.
Secondo Vitruvio, famoso scrittore romano e padre dell’architettura, il nome “Cariatide” significherebbe “donna di Karya”. Le donne di questa città del Peloponneso furono rese schiave, pur mantenendo i loro attributi matronali, dopo la sconfitta e la distruzione della loro patria, come punizione per l’appoggio fornito ai Persiani.
In seguito, gli architetti greci le raffigurarono come sorreggenti il peso dell’edificio, per tramandare il ricordo dell’evento.
Un’altra ipotesi è che queste donne fossero le figlie del re Kepros veglianti sulla tomba paterna.
A colpire in queste sculture è la bellezza e la fierezza espressa nei loro volti: statiche ed indifferenti nel viso e nella posa, nel lessico colloquiale viene indicata come “Cariatide” una persona noncurante e silenziosa. Inoltre, la predisposizione all’eterna immobilità della Cariatide identifica anche una persona con idee e modi di fare superati per i tempi in corso.
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