Dopo la Reggia di Quisisana e il Museo Archeologico “Libero D’Orsi”, di cui abbiamo parlato nel precedente articolo, visitiamo oggi ciò che resta dell’architettura stabiana
«Senza dubbio il litorale si era avanzato e teneva prigionieri nelle sue sabbie asciutte una quantità di animali marini. Dall’altra parte una nube nera e terrificante, lacerata da lampeggianti soffi di fuoco che si esplicavano in linee sinuose e spezzate, si squarciava emettendo delle fiamme dalla forma allungata: avevano l’aspetto dei fulmini ma ne erano più grandi».
A descrivere l’evento eruttivo del 79 d.C. è, molti anni dopo, Plinio il Giovane in due lettere all’amico Tacito, in cui racconta anche la morte, a Stabia, dello zio Plinio il Vecchio, soffocato dai vapori tossici. L’eruzione vulcanica, forse la più celebre della storia, distrusse le città di Pompei ed Ercolano, ma anche di Oplonti e Stabia: proprio qui, nell’ameno e panoramico luogo di villeggiatura che era Stabiae, si sofferma il nostro sguardo per scoprire cosa è rimasto da quell’infausto giorno di ottobre.
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Villa San Marco, così denominata per la cappella dedicata al santo ivi costruita nel XVIII secolo, dopo l’intervento borbonico fu riscavata nella seconda metà del Novecento. I suoi 11.000 mq, che la rendono una delle villae romane residenziali più vaste, un tempo decorati ed arredati con gusto, si fondono con l’ambiente circostante provando a domare quella natura spesso impervia che li circonda, armonizzando con essa e in essa giardini, porticati e un ninfeo arricchito da stucchi.
Nel complesso si inserisce anche un quartiere termale, composto da calidarium, tepidarium e frigidarium.
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Dal soggetto mitologico di una pittura rinvenuta su una parete prende nome Villa Arianna, la più antica delle villae stabiane, che mostra il gusto elegante dei proprietari e conserva ancora la grande palestra, unita alla villa in età flavia. Gli affreschi, che si ispirano per la maggior parte al tema mitologico, come – appunto – la scena di Arianna abbandonata da Teseo nel triclinio, accompagnano i mosaici bianco-neri nella decorazione e nell’abbellimento degli spazi.
Attraversando una stradina, da Villa Arianna si giunge al cosiddetto Secondo Complesso. La decorazione della parte più antica della villa è quasi totalmente perduta, ma la zona più recente, probabilmente un ampliamento di epoca imperiale, conserva ancora una decorazione legata al III stile pompeiano.
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È, però, probabilmente la “Flora” (o Primavera) il simbolo celebre di Stabiae: si tratta di un affresco risalente al I sec. e proveniente da Villa Arianna, oggi conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Eterea ed elegante, a questa figura femminile, rappresentata di spalle in un giardino mentre raccoglie fiori in una cesta, non è stata attribuita un’identità chiara, mentre di più facile riconoscimento sembrano gli altri personaggi provenienti dallo stesso cubiculo: Medea, che impugna l’arma dell’assassinio dei figli; Diana o Penelope che reggono l’arco; Leda e il Cigno. Ma è la Flora, per alcuni Proserpina, che più di tutte attira l’attenzione e attrae lo sguardo con la sua delicatezza e leggiadria e col suo chitone giallo, a dare le spalle agli spettatori o all’inverno o a chissà cos’altro.
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Si ringraziano per la collaborazione il Forum dei Giovani di Castellammare di Stabia, Salvatore Izzo e Vincenza Varone.
Alcune notizie sono state riprese dai siti www.pompeiisites.org e www.archivioplaitano.it.
Le immagini sono state riprese da www.pompeiisites.org, eccetto la Flora di Stabiae, ripresa da Wikipedia.
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