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Tutti in fila! La danza dei protoni nella risonanza magnetica

Il comportamento dei protoni, sotto particolari condizioni, permette di indagare i tessuti molli grazie a una tecnica che trova applicazione in molti campi

Oltre alla luce visibile, che è solo una parte di tutto lo spettro elettromagnetico, esistono diversi tipi di radiazione. Un altro esempio sono quelle a bassa frequenza, poco energetiche, come le onde radio. Esse vengono sfruttate in medicina, insieme a un campo magnetico, per evidenziare la composizione e la struttura dei tessuti molli studiando il comportamento di un particolare tipo di particella, il protone. La tecnica di cui stiamo parlando è la risonanza magnetica. Il nome non sarà nuovo per molti, magari a qualcuno è capitato anche di sottoporsi a questo tipo di indagine medica, forse però pochi sanno come funziona. 

Il funzionamento della risonanza magnetica 

I protoni sono particelle che ruotano intorno a un proprio asse, un po’ come la terra ruota su sé stessa intorno all’asse passante per i due poli. Quando viene azionato un campo magnetico esterno, la maggior parte dei protoni si allinea ad esso in modo parallelo. Si mettono quasi tutti dritti, come ballerine sulle punte, con l’asse nella stessa direzione. Introducendo una radiazione a bassa frequenza, i protoni avvertono il cambio di “musica” e modificano l’orientamento del loro asse di un certo angolo, restando fermi in questa configurazione. Rimuovendo gli impulsi delle onde a radiofrequenza, invece, torneranno tutti in posizione iniziale e così facendo risuonano emettendo un debole segnale chiamato segnale di risonanza.

Il segnale può essere poi convertito in impulsi digitali per ottenere un’immagine in scala di grigi evidenziando le diverse intensità. Il cosiddetto tempo di rilassamento, impiegato dai protoni per tornare nella posizione iniziale, è diverso a seconda della composizione dei tessuti. I protoni presenti nell’acqua impiegano più tempo per tornare alla posizione iniziale rispetto a quelli presenti nel grasso. I tessuti malati in genere hanno un contenuto di acqua maggiore rispetto ai tessuti normali e possono essere rilevati con questa tecnica.

La risonanza magnetica non solo in medicina 

La risonanza magnetica valse il Nobel nel 1952 ai fisici Felix Bloch ed Edward Purcell. Oltre al campo della medicina, è possibile applicare questa tecnica diagnostica anche in altri ambiti. In petrofisica – la scienza che studia le pietre – è infatti possibile indagare la porosità e la permeabilità delle rocce analizzandone i campioni. I geofisici, invece, applicano la tecnica direttamente al suolo per ottenere una risposta nel caso in cui vi è dell’acqua nel sottosuolo dove la presenza della falda acquifera non è conosciuta. Non producendo alcun danno strutturale si può applicare la risonanza magnetica anche allo studio del legno per osservare disomogeneità strutturali e la distribuzione dei liquidi. Si possono anche compiere osservazioni dendrocronologiche, per la datazione o anche per il monitoraggio dello stato di salute di specie arboree. 

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di Marianna Fusco

Una mente scientifica e un'anima letteraria, affascinata da qualsiasi cosa abbia una storia da raccontare. Curerà la rubrica “Reticoli di Idee”

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