“Sono un essere umano: ritengo che nulla di ciò che è umano mi sia estraneo”
(Terenzio, Heautontimorumenos 77)
Il famosissimo verso del commediografo Terenzio ha attraversato indenne le epoche, diventando emblema dell’ideale di humanitas.
In questo passo dell’Heautontimorumenos, rielaborazione dell’omonima commedia di Menandro, Cremete si incuriosisce vedendo il suo vicino, Menedemo, sessantenne e con un gran numero di servi, trascorrere tutto il giorno a coltivare la propria terra.
Di fronte alla reazione burbera di Menedemo, il vicino gli risponde con tali parole divenute proverbiali.
È l’humanitas a spingere Cremete a preoccuparsi della vita di Menedemo.
Humanitas significa per Terenzio essere “come corpo unico, di cui i singoli uomini sono le membra”.
Spesso, ascoltando le brutture di cui parlano i notiziari, mi torna in mente questa sfumatura del concetto latino di humanitas: l’incapacità di disinteressarsi alle vicende degli altri esseri umani.
Mi chiedo: la nostra humanitas dove è finita?
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