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La festa dei morti e il culto delle anime pezzentelle

Mancano pochi giorni ai primi di novembre per festeggiare una ricorrenza importante che ci fa sentire più vicini ai nostri cari: dedicare loro una preghiera, portare loro dei fiori freschi, ne riaffiora il ricordo. Per i napoletani, in particolare, i morti sono importantissimi e non vengono mai dimenticati o abbandonati: a Napoli, in verità, si annulla quel limen che separa il mondo dei vivi da quello dei defunti

La Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio: la nascita e lo sviluppo del culto a metà tra folclore e superstizione

Che Napoli fosse così legata all’aldilà e alla morte, alla quale ancora oggi si approccia con confidenza e senza timore, è risaputo da tempo: sarà il Vesuvio che ci induce ad esorcizzare la paura della morte, o sarà l’antro della Sibilla Cumana, luogo mitico da sempre ritenuto una discesa negli Inferi, Napoli è un vero e proprio Purgatorio in terra che viene a trovarsi immediatamente sopra l’Inferno, confinato quindi tra il lago d’Averno e il vulcano. Proprio in merito al Purgatorio e alle anime dei morti i napoletani ricordano un culto particolarissimo, che fino agli anni ottanta del secolo scorso era ancora molto diffuso: il culto delle anime pezzentelle.

Teschio esterno della Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco

Questo culto nasce probabilmente nel corso del XVI e del XVII secolo, all’indomani della Controriforma e in un momento storico in cui la preoccupazione della vita dopo la morte induceva i fedeli a seguire rigorosamente la parola di Dio e i precetti cristiani. Pertanto, non è un caso che il culto fosse incentrato proprio sul teschio: il cranio, in effetti, non solo è la custodia del cervello, sede dell’anima; ma è anche il simbolo del memento mori, il cui pensiero inevitabilmente rimandava all’epoca alla preoccupazione dell’aldilà.

Il culto viene praticato in diverse chiese cittadine, ma si sviluppa in modo particolare presso la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio, dove anticamente giaceva una fossa comune per la sepoltura dei defunti. Anzitutto, le anime pezzentelle si pensava fossero le anime del purgatorio, le quali venivano “adottate” dalle donne napoletane, che pregavano affinché le anime potessero scontare le loro pene e assurgere in paradiso. Pezzentelle, infatti, deriva dal latino petere, chiedere per ottenere.

Tuttavia, non si faceva niente per niente: in cambio della preghiera le donne richiedevano una intercessione, per cui ciò che si instaurava tra il fedele e l’anima era un vero e proprio scambio di interessi.

I teschi erano custoditi in scarabattoli, piccole teche settecentesche affisse al muro, e sistemati sopra ad un panno o ad un cuscino bianco. Ciò che si manifestava nell’ipogeo della chiesa era una vera e propria venerazione: le persone pregavano tutte le anime del purgatorio, si confidavano con le capuzzelle come se fossero membri familiari, e si scusavano con le stesse qualora dimenticassero di pregarle o di andare a far loro visita.

Un gesto di solidarietà nei confronti di anime ignote, sciagurate, disgraziate, morte in circostanze diverse e oscure. Pertanto il legame era forte e vivo: le donne dialogavano con le anime che apparivano loro in sogno; in ipogeo, poi, accarezzavano le testoline sussurrando le loro richieste; e ogni lunedì lavavano i crani con alcool e li profumavano con naftalina, affinché donassero ai teschi un sollievo, il refrigerium dalle fiamme del purgatorio. L’ipogeo diveniva, quindi, una seconda casa.

Ipogeo della Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco

Le anime pezzentelle sulla terra il giorno dei morti

Secondo una antica credenza in occasione della festa dei morti, le anime del purgatorio si pensava stanziassero sulla terra, ritornando quindi al mondo dei vivi e rimanendovi fino al 6 gennaio. Alla nascita di Gesù presenziavano non solo i vivi, ma anche il demonio e i morti, tanto è che le anime del purgatorio erano rappresentate anche nel presepe napoletano sotto forma di mendicanti. Questi ultimi erano posti in corrispondenza dei ponticelli, simbolo del passaggio aldilà, o sopra una collinetta, in riferimento al monte del purgatorio. Nel giorno dell’Epifania i morti potevano beneficiare di un sollievo, un rinfresco dell’anima grazie alla manifestazione del divino, pertanto, era consuetudine che fossero sistemati nella grotta del bambino Gesù al posto della sacra famiglia.

Le anime lasciavano il mondo dei vivi solo il 17 gennaio, nel giorno di Sant’Antonio Abate, in occasione del quale era tradizione accendere suggestivi falò, in cui venivano bruciati gli abeti natalizi, le scenografie presepiali e il monte del purgatorio, alludendo in primis al passaggio dall’anno vecchio all’anno nuovo (da cui il noto detto “Sant’Antuono, Sant’Antuono tecchet’o’viecchio e damm’o nuov”); e in secundis al rientro delle anime nell’aldilà.

L’anima di Lucia la sposa

Tra i teschi del Complesso del Purgatorio ad Arco, il più famoso certamente è il teschio di Lucia: si pensi una giovane nobildonna del XVII secolo costretta ad un matrimonio combinato. Essendosi questa innamorata di un popolano tentò in ogni modo di ribellarsi alle imposizioni del padre, finché quest’ultimo si vendicò uccidendo lei e l’innamorato. Per la verità questa è solo una delle numerose versioni della leggenda: secondo alcuni, infatti, la donna morì di crepacuore; per altri si suicidò; per altri ancora si gettò in un pozzo dopo aver perso l’amato in mare.

Seppure si tratti di una leggenda è probabile che una nobildonna di nome Lucia fosse realmente esistita nel Seicento e che, diversamente da quanto si racconta, morì semplicemente di tisi. Ciò nonostante questa storia ha riscosso un gran successo nel corso del tempo, tanto che ancora oggi Lucia è la personificazione dell’amore giovanile e la rappresentazione della condizione femminile in una società patriarcale, che fino agli anni ‘70 ha visto le donne soggiogate alle volontà della figura maschile a loro più vicina. Per tali ragioni in tutto questo tempo le donne si sono immedesimate in lei, riconoscendo una situazione non tanto distante dalla loro quotidianità, maturando sempre più un sentimento solidale con questo personaggio leggendario.

Teschio di Lucia la sposa, cimitero della Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco

La fine del culto

Nel 1969 il cardinale Corrado Ursi definisce il culto ai limiti del pagano e ne impone l’interdizione. Tuttavia, il culto si arresta solo nel 1980, all’indomani del terremoto, quando la chiesa rimane necessariamente chiusa e l’ipogeo resta inaccessibile al pubblico. 

Certamente da allora il silenzio del tempo ha affievolito quel sentimento così forte, anche se ancora oggi alcune donne del quartiere hanno memoria di quei luoghi, del culto e delle capuzzelle.

Ciò nonostante, l ‘ipogeo della Chiesa del Purgatorio, intriso di superstizione e devozione, non ha perduto il suo fascino, tanto che i visitatori rimangono stupiti e impressionati da ciò che questo luogo ha da raccontare. Questo rapporto strano, confidenziale, talvolta irriverente nei confronti della morte è parte della nostra cultura partenopea, così complessa e affascinante, così passionale, così pagana che vale la pena di scoprire ogni giorno per non dimenticare… anime comprese.

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di Rosaria Esposito

Classe '96, diplomata al liceo classico "Cneo Nevio" di Santa Maria Capua Vetere (CE) e laureata in “Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali” all’Università degli Studi di Napoli Federico II. A metà tra un approccio storico-artistico ed uno economico-gestionale, costruisce una figura professionale capace di muoversi nei campi della cultura, conservazione e valorizzazione del patrimonio. Dà un respiro internazionale al suo profilo studiando a Lille, tra il 2017 e il 2018, attraverso al Programma Erasmus+. L’esperienza di tirocinio extracurriculare presso il “Pio Monte della Misericordia” a Napoli la spinge ad iscriversi, nel 2019, al corso di laurea magistrale in “Archeologia e Storia dell’Arte”. Tuttavia, non abbandona il suo interesse verso la valorizzazione e la gestione: grazie all’associazione “Napulitanata”, studia da vicino dinamiche interne volte alla promozione culturale territoriale e la programmazione degli eventi che da sempre l’affascinano. Ambiziosa e curiosa è una grande amante dei libri e dei viaggi. Per lei la lettura ha un grande valore culturale: leggere significa avere sete di conoscenza, essere aperti al mondo e non essere mai stanchi di stupirsi. Curerà la rubrica “Pillole d’Arte”

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