«Dirai ‘ahimè’, ogniqualvolta ti vedrai allo specchio diverso»
(Orazio Carmina IV, 10, 6)
Spesso guardandoci allo specchio capita di guardare la nostra immagine lì riflessa e vederci cambiati. La carnagione appare opaca, fanno capolino sul nostro viso le prime rughe ed i capelli cominciano a tingersi di bianco.
In quest’ode il poeta Orazio, ormai anziano, si rivolge all’amato Ligurino che ne ignora, spocchioso, le attenzioni, superbo nella propria fiorente bellezza.
Prefigurandone il futuro, Orazio ritiene che, se in quel momento è “crudele e potente dei doni di Venere”, non curandosi di nient’altro che del proprio aspetto esteriore, un giorno tale bellezza avvizzirà.
A Ligurino non resterà allora che guardarsi allo specchio, pentito di non aver curato anche la propria mens ed il proprio animus in giovinezza.
Questo carmen sembra parlare di noi e della nostra epoca fondata sull’apparire in cui l’ossessione per l’esteriorità è non di rado inversamente proporzionale alla cura dell’anima e dell’interiorità.
Guardandoci allo specchio, possiamo notare come il tempo non faccia sconti a nessuno, esteticamente parlando, e non ci sia chirurgia estetica o filtro che possa compensare la bruttezza di un animo malmesso.
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