Gioiellino del tardogotico napoletano, la cappella Pappacoda risale al primo quindicennio del XV secolo e risiede accanto alla basilica di San Giovanni Maggiore
Commissionata da Artusio Pappacoda, consigliere di Ladislao I d’Angiò, la cappella è costruita in tufo e colpisce per la sensazione di verticalismo che conferisce il portale marmoreo posto in facciata. Quest’ultimo fu fatto realizzare dal noto scultore Antonio Baboccio da Piperno, che nel primo ventennio del Quattrocento aveva già realizzato la Madonna con Bambino per il portale maggiore del Duomo di Napoli, per il portale maggiore del Palazzo Penna, per il sepolcro di Margherita di Durazzo conservato nel Duomo di Salerno e per alcuni sarcofagi della nobiltà regnicola.
Il portale maggiore della Cappella Pappacoda presenta un vasto e simbolico apparato decorativo arricchito da fogliami e iscrizioni e può essere suddiviso in tre parti. Partendo dal basso vige imponente il portale, che è inglobato all’interno di un arco ogivale a molteplici ghiere. Sull’architrave sono scolpiti i quattro evangelisti, riconoscibili dal simbolo che li rappresenta (leone, toro, aquila e angelo), mentre al centro c’è il Bambino Gesù. Lungo i conci dell’arco una serie di angeli sovrastati dalla figura di Dio Padre fa da cornice alla lunetta, dove risiede al centro la scultura della Madonna con Bambino. Ai piedi di quest’ultima San Giovanni Battista ed Evangelista che reggono un cartiglio scolpito e inciso in caratteri gotici. Proseguendo verso l’alto segue un timpano dove altri angeli e cherubini sono scolpiti in bassorilievo e si dispongono ai lati dello stemma Angiò-Durazzo, che dialoga con quello Pappacoda, caratterizzato da un leone che si mangia la coda, esposto sull’imposta dell’arco. La connessione tra i due stemmi non è casuale, considerata la vicinanza della famiglia Pappacoda alla corte reale. Anche in questo caso vi è una figura centrale su cui si focalizza l’attenzione: al centro del timpano vi è scolpito un oculo dentellato dove è conservata la scultura di Dio padre che regge un libro. Lo stemma angioino posto giusto al di sotto di Dio sta ad indicare la protezione celeste sulla famiglia regnante.
La parte sommitale, invece, accoglie i tre arcangeli: Gabriele, Michele e Raffaele. Le tre figure più importanti, ovvero rispettivamente Maria Vergine, Dio Padre e l’Arcangelo, sono poste sullo stesso asse, secondo un messaggio incentrato sull’obbedienza, la fede e l’avvicinamento a Dio. Il percorso ascensionale che il visitatore compie con lo sguardo è conforme ai concetti del gotico flaboyant francese e alle sue linee propendenti verso il cielo, nel sottolineare la ricerca della spiritualità e della purificazione dell’anima. Non a caso la Cappella si conclude con la figura dell’arcangelo Michele che sconfigge il demonio.
Al gusto gotico francese si combinano elementi classici, nella fattispecie la presenza di spolia sulle facciate del campanile vicino. Quest’ultimo è decorato in piperno e tufo e presenta colonne tortili e ioniche. Sul lato ovest ai lati delle bifore si vedono alcuni busti ritratti, tra i quali la testa di Atena, una maschera e un bassorilievo raffigurante il ratto di Proserpina. Sul lato nord, invece, compaiono le figure di due congiungi e un uomo barbuto. Il reimpiego delle antichità è tipico dell’epoca medievale e si usava al fine di conferire maggiore lustro alla committenza e al monumento stesso.
All’interno, la Cappella presenta un’unica navata e conserva due sepolcri cinquecenteschi dei membri Pappacoda, mentre imponenti statue degli evangelisti furono aggiunte solo nel corso di alcuni rimaneggiamenti condotti nel Settecento. Dal 24 marzo la Cappella accoglie il Cristo Ri-velato dell’artista napoletano Domenico Sepe. In occasione dell’esposizione della scultura bronzea la cappella, rimasta chiusa per diversi anni, è nuovamente riaperta al pubblico. La scultura è ovviamente un esplicito richiamo al Cristo Velato della Cappella Sansevero, sebbene il messaggio sia più complesso: il velo copre il dogma, mentre ciò che viene rivelato è un Cristo sofferente, uomo, la cui passione salva l’umanità dal peccato e induce ad una nuova spiritualità. Il tema, dalla carne allo spirito, è strettamente legato al percorso ascensionale che caratterizza l’architettura tardogotica che accoglie l’opera.
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