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Napoli e la tradizione del presepe

Si avvicina Natale: si addobbano le case, si fa l’albero, si preparano i regali, la televisione trasmette Natale in casa Cupiello, e chi è più tradizionalista fa anche il presepe

via San Gregorio Armeno, Napoli

Le origini e l’evoluzione del presepe a Napoli

Simbolo della tradizione partenopea, il presepe nasce nel XIII secolo a Greccio, quando San Francesco, di ritorno dal pellegrinaggio compiuto in Terra Santa, rimasto colpito dai luoghi d’ infanzia di Gesù, volle inscenare la Natività. Questa prima rappresentazione del presepe favorì nel Trecento lo sviluppo della raffigurazione pittorica e scultorea del tema.

A Napoli le prime figure presepiali si attestano nel Quattrocento: sculture lignee con decorazioni dorate venivano realizzate dagli artigiani locali a grandezza naturale. Esse erano posizionate in cappelle e chiese, dove un fondale dipinto fungeva da scenografia.

Tra la seconda metà del Cinquecento e il Seicento il presepe acquistò sempre più un carattere decisamente laico. Le composizioni furono più elaborate, tali da suscitare un effetto di meraviglia: nacquero i primi fondali in rilievo; furono aggiunti diversi personaggi e animali, afferenti alla tradizione apocrifa dei Vangeli e alla simbologia pagana; i manichini, ormai in legno e in terracotta e di dimensioni ridotte, furono rappresentati con maggiore teatralità e dinamismo; infine, le scenografie furono caratterizzate da plurime scene di vita quotidiana.

È dalla seconda metà del Settecento, tuttavia, che il presepe raggiunse i massimi livelli artistici, grazie al lavoro scrupoloso degli artigiani, attenti alla resa realistica dei dettagli. Il presepe divenne un pregiato oggetto di mobilio, tale che si sviluppò una importante committenza dei ricchi borghesi, che lo vollero nelle proprie case.  I pastori, in effetti, divennero oggetti ricercati nei mercati d’esportazione al pari di arazzi, porcellane, pietre dure, sete e oggetti in corallo. La loro produzione ebbe caratteristiche seriali, sicché le varie fasi di lavorazione e i singoli compiti di realizzazione furono divisi all’interno delle famiglie di artigiani pastorari, per ridurre tempi e costi di produzione. Il presepe così, sfarzoso ed espressivo, assunse una grande importanza, tale che spesso la realizzazione di scenografie o di figure fu affidata ad architetti, pittori e scultori di nota fama.

Alcune vicende storiche dell’epoca ispirarono gli artigiani locali nella realizzazione di determinati dettagli che impreziosirono le scenografie: le rovine, per esempio, furono un riferimento alla scoperta degli scavi di Ercolano, mentre le stoffe preziose dei pastori richiamarono la produzione della seta della fabbrica di San Leucio. I personaggi furono modellati in legno e in terracotta policroma, presentavano occhi in vetro soffiato e il colore era caratterizzato da un lieve strato di cera, che garantiva una migliore resa delle sfumature dell’incarnato.

Dettaglio presepe di Capodimonte, Re Magio con cammello

Simbologia del presepe napoletano

Il presepe napoletano si caratterizza per una simbologia tutta misterica e affascinante. Interessante è a tal proposito la lettura che ne dà Roberto de Simone nel volume Il presepe popolare napoletano, da cui sono tratte alcune considerazioni.

Già in epoca precristiana al periodo invernale corrispondevano rituali e festività che esorcizzavano la morte della natura, augurando il ritorno di una primavera prospera e rigogliosa. Il Natale, allo stesso modo, rappresenta tutt’oggi la morte del tempo passato e il buon auspicio del tempo futuro, l’anno nuovo. Tanto è vero che alcuni cibi della tradizione, quali il capitone o il susamiello (non a caso anch’esso ricorda una forma serpentina), alludono proprio alla morte del tempo trascorso, che viene tagliato in tanti pezzi nel ricordo di una rottura simbolica e nell’attesa di una sua rigenerazione.

Il presepe, quindi, si connota di un interessante simbolismo, afferente ai temi sia della vita sia della morte, del bene e del male insieme, quasi ad alludere la rappresentazione del mondo che ci circonda e che viene stravolto dall’avvento salvifico del Bambino Gesù: la sua nascita cancella il male del passato e dà speranza per il futuro. Ciò spiega perché all’apparizione di Cristo vi partecipino vivi, defunti e persino il diavolo!

Il macellaio

Per tale ragione esso appare come un percorso in discesa e spesso labirintico, su cui incombe il buio di un paesaggio notturno. Diversi sono gli elementi che vi compaiono tradizionalmente: il pozzo e la fontana, le cui acque erano legate a credenze magico demoniache, poiché provenienti dal sottosuolo; il fiume, che nel suo scorrere allude alla sacralità dell’acqua che purifica; il ponte, inteso come luogo di passaggio tra il mondo dei vivi e quello dell’aldilà; il castello, che allude alla strage degli innocenti compiuta per volontà del re Erode; il mulino che macina farina. L’interpretazione di quest’ultimo elemento è alquanto complessa: la macina schiaccia il grano per produrre farina che è antica simbologia della morte, tuttavia essa può connotarsi anche di un significato positivo, giacché la farina è essenziale per la produzione del pane, alimento indispensabile al nutrimento e alla vita. Il mulino, più in generale, rappresenterebbe nel suo movimento di pale che girano il passare del tempo e l’avvento di un nuovo anno.

Il pescivendolo

Si ritrova, poi, nel presepe l’osteria, covo di albergatori malvagi: non è certo un caso che essa sia tradizionalmente contigua alla grotta del Bambino Gesù, quasi a contrapporre il bene e il male. In effetti, la grotta rappresenta il confine tra le tenebre e la luce, sicché non è altro che una linea di demarcazione tra la luce divina e le tenebre del mondo.

Anche i personaggi hanno una loro simbologia specifica. Tra quelli più significativi si ricordano i vari commercianti, che rappresentano i mesi dell’anno e l’auspicio per una nuova e fiorente produttività. Vi è poi il pastorello Benino, il pastore dormiente che viene collocato sul punto più alto del presepe. Questi rappresenta l’uomo che senza la conoscenza di Dio dorme di un sonno profondo. Il sonno di Benino, dunque, rappresenta uno stato di incoscienza, mentre il suo sogno si sviluppa proprio sul percorso in discesa che il pastorello deve compiere fino alla grotta, dove all’apparizione della luce divina trova finalmente il suo risveglio.

Il suo percorso, quindi, rappresenta il viaggio esoterico del fedele e la rinascita dello spirito in una scenografia onirica, quale quella del presepe. Alla fine del viaggio, superate le paure e gli ostacoli del cammino, Benino si ritrova dinanzi la grotta dove, accecato dalla luce divina, mostra tutto il suo stupore. In effetti, quest’ultimo è noto anche come il Pastore della meraviglia.

Interessante è anche la simbologia dei Re Magi: essi rappresentano nel loro cromatismo l’iter quotidiano del sole: rispettivamente il bianco dell’aurora, il rosso del mezzogiorno e il nero della sera. Il loro viaggio che parte non a caso da Oriente, dove sorge il sole, rappresenta il percorso notturno dell’astro, che termina alla nascita di un nuovo sole, il bambino Gesù. Ancora una volta ricorre l’alternarsi del buio e della luce.

Tra i personaggi degni di nota vi sono poi le lavandaie, che secondo la tradizione apocrifa assistettero al parto di Maria. Infine si ricordano l’oste e il macellaio, che invece alludono al diavolo.

Il pastore Benino dormiente

I presepi napoletani

A Napoli vi è la storica strada di San Gregorio Armeno che è consacrata ai presepi e a questa tradizione partenopea. Tuttavia tra i presepi settecenteschi più belli e ricchi di particolari si ricordano in città i tre gruppi presepiali donati dalla famiglia Catello e conservati presso il Museo di Capodimonte, tra le cui figure spiccano l’incantatore di serpenti e alcuni animali esotici che accompagnano il corteo dei Magi, quali il cervo, un cammello, i pappagalli, levrieri e, infine, l’elefante, testimoni del gusto esotico dell’epoca e dei rapporti politico-commerciali che il re ebbe con l’Impero ottomano: un elefante in carne e ossa, in effetti, fu donato a  Carlo di Borbone nel 1742 dal Gran Visir. Di grande pregio anche il presepe del Banco di Napoli, custodito presso il Palazzo Reale nella Cappella Palatina; il presepe della Reggia di Caserta, recentemente riallestito dopo il furto di diversi pastori nel 1985; infine, il presepe conservato presso la Certosa di San Martino, donato dal drammaturgo Cuciniello Michele nel corso dell’Ottocento, il quale partecipò in parte alla sua realizzazione.

Presepe Settecentesco custodito nel Museo Capodimonte di Napoli

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di Rosaria Esposito

Classe '96, diplomata al liceo classico "Cneo Nevio" di Santa Maria Capua Vetere (CE) e laureata in “Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali” all’Università degli Studi di Napoli Federico II. A metà tra un approccio storico-artistico ed uno economico-gestionale, costruisce una figura professionale capace di muoversi nei campi della cultura, conservazione e valorizzazione del patrimonio. Dà un respiro internazionale al suo profilo studiando a Lille, tra il 2017 e il 2018, attraverso al Programma Erasmus+. L’esperienza di tirocinio extracurriculare presso il “Pio Monte della Misericordia” a Napoli la spinge ad iscriversi, nel 2019, al corso di laurea magistrale in “Archeologia e Storia dell’Arte”. Tuttavia, non abbandona il suo interesse verso la valorizzazione e la gestione: grazie all’associazione “Napulitanata”, studia da vicino dinamiche interne volte alla promozione culturale territoriale e la programmazione degli eventi che da sempre l’affascinano. Ambiziosa e curiosa è una grande amante dei libri e dei viaggi. Per lei la lettura ha un grande valore culturale: leggere significa avere sete di conoscenza, essere aperti al mondo e non essere mai stanchi di stupirsi. Curerà la rubrica “Pillole d’Arte”

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