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Quel complesso monastico irpino in cui nel Medioevo comandavano le donne

Dopo aver gettato le basi per la costruzione di quella che oggi è l’abbazia di Montevergine, il monaco Guglielmo da Vercelli, oggi Santo, avviò un’importante opera di fondazione di nuovi monasteri che lo portò a girare parte del Mezzogiorno. Nel 1133 per suo volere sorse in Irpinia, presso Sant’Angelo dei Lombardi, una comunità religiosa di monaci e monache che abitava la cittadella monastica del Santissimo Salvatore al Goleto.


Eretto su di un colle affacciato sulla Valle dell’Ofanto, il complesso constava di due monasteri distinti: sia quello più piccolo, occupato dagli uomini, che quello più grande, riservato alle donne, erano coordinati da una badessa. Questa egemonia femminile in un contesto religioso, per dipiù medievale, era una caratteristica non di poco conto: mentre agli uomini erano affidati compiti di natura amministrativa e liturgica, lo straordinario operato delle badesse che si succedettero dotò l’abbazia di costruzioni ancora oggi significative, rendendola, insieme a Montevergine, un vero e proprio baluardo di fede.

Torre Febronia • Foto di Luca Landolfi

La Torre Febronia, ad esempio, originariamente a due piani, prende il nome dalla badessa che ne dispose la costruzione e fu eretta a scopo difensivo con materiale di recupero proveniente da un mausoleo romano, come attestano alcuni bassorilievi.
Seguendo il corrimano a forma di serpente, dall’atrio principale si giunge alla Cappella di San Luca, concepita dalla Badessa Marina II per accogliere temporaneamente i resti mortali dell’evangelista: le colonne e i capitelli richiamano, secondo alcuni, quelle di Castel del Monte, in Puglia. L’intreccio tra la scultura irpina e le forme pugliesi insieme allo stile cistercense forma un luogo unico e artisticamente pregevole.

Foto di Luca Landolfi

Un lento declino iniziato alla metà del XIV secolo condusse, nel 1506, alla soppressione della comunità monastica e il Goleto fu accorpato al Monastero di Montevergine. Nel Settecento il restauro e l’edificazione della nuova chiesa, ad opera dell’architetto napoletano Domenico Antonio Vaccaro, parve ridare credito alla struttura, ma ben presto Giuseppe Bonaparte soppresse definitivamente l’Abbazia, costringendo a trasferire il corpo di San Guglielmo a Montevergine. Per più di un secolo e mezzo, dunque, il complesso fu totalmente abbandonato alle ruberie e alle intemperie.

Chiesa del Vaccaro • Foto di Luca Landolfi

Nel 1973, però, Padre Lucio Maria De Marino si stabilì nel complesso, riaccendendo l’attenzione su di esso e restituendogli la speranza di una riabilitazione strutturale e religiosa che non si fece attendere. Tenuto in vita dai Piccoli Fratelli della Comunità Jesus Caritas fino a pochi mesi fa e oggi da una fraternità presbiterale diocesana, il Goleto continua ad incantare visitatori e fedeli, rendendo indecifrabile il confine tra cielo e terra.

Foto di Don Piero Fulchini

Al Goleto si assapora la pace, si respira la fede; si contempla la bellezza del creato e il genio dell’uomo ispirato da Dio.

Alcune informazioni sono state riprese dal sito del FAI Fondo Ambiente Italiano, www.fondoambiente.it, e dal sito dell’Abbazia del Goleto, www.goleto.it.

Si ringraziano per le suggestive immagini Luca Landolfi e Don Piero Fulchini.

Si ringraziano Filomena Imbriano e il Forum dei Giovani di S. Angelo dei Lombardi.

© IL QUOTIDIANO ONLINE 2021 RIPRODUZIONE RISERVATA

di Rosa Elefante

Studentessa non ancora esaurita, idealista non ancora disillusa, sognatrice non ancora sveglia. Curerà la rubrica “Sentieri, Storie e Territori”

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