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I Parassiti di Achille d’Orsi e il realismo brutale

Brutti e sgraziati sono i soggetti del gruppo scultoreo di Achille d’Orsi: una nuda brutalità che soppiantò il bello del gusto classicista. Nuovi i canoni di bellezza: iniziò la corsa alla rappresentazione del vero e del brutto

Un monumentale scalone a doppia rampa, progettato dall’architetto napoletano Ferdinando Sanfelice, conduce all’ingresso dell’Ottocento privato: una sezione aggiuntiva del Real Museo di Capodimonte, ricavata dall’antico appartamento privato dei Borbone e poi dei Savoia, che ospita opere meravigliose tra Ottocento e inizio Novecento.

Tra le magnifiche opere pittoriche e scultoree della Galleria, uno dei capolavori più noti è il gruppo scultoreo de I parassiti di Achille d’Orsi.

In gesso patinato a finto bronzo, l’opera rappresenta due antichi romani seduti su un triclinio che, sotto l’effetto dell’alcool, smaltiscono la sbornia.

I Parassiti di Achille d’Orsi

Le pose indecenti, il tema indecoroso e il brutto delle mani, dei fisici e della scena rappresentò alla Mostra Nazionale del 1877, organizzata a Napoli e in occasione della quale furono esposti, una vera e propria trovata dirompente e innovativa: iniziava così tra il brusio delle polemiche e lo sgomento dello scandalo quello che prese il nome di “realismo brutale”.

i Parassiti di Achille d’Orsi

La Mostra Nazionale gettò le basi per una nuova arte. In quella occasione, in particolare, si parlò molto non solo di Achille d’Orsi, ma anche di altri due artisti che ebbero il suo stesso spirito rivoluzionario: Giovan Battista Amendola che espose Caino e la sua donna, un uomo preistorico con unghia lunghe, la posa sgraziata e tesa, le sopracciglia aggrottate, privo di qualunque grazia e splendente di tutta la sua bestialità, ora conservato presso la Galleria dell’Accademia di Napoli; e Raffaele Belliazzi che presentò il suo umanissimo pastorello de il riposo, conservato ora presso la Pinacoteca Provinciale di Bari Corrado Giaquinto.

Qualcosa di sorprendete e che suscitò molti dissapori tra la critica: esisteva già da tempo, certo, il naturalismo ma garbato, fine, in qualche modo sempre filtrato. Iniziava con la scultura napoletana un’arte diversa, nuova, tendente al realismo con nuovi canoni di bellezza: il fascino del brutto e del vero, per l’appunto.

Al cambiamento di gusto incisero soprattutto i primi studi del vero dello scultore Stanislao Lista, ai quali Achille D’Orsi non fu indifferente, e Pompei. In effetti, è probabile che la ventata di novità e il totale stravolgimento furono dettati proprio dal ritrovamento delle vittime di Pompei, i cui calchi in gesso furono realizzati a partire dal 1863 dall’allora Direttore degli scavi Giuseppe Fiorelli, che ebbe l’intuizione di adoperare il metodo della colatura di gesso anche per la ricostruzione dei corpi umani. Non è un caso che Adriano Cecioni, scultore e critico toscano, sostenitore del realismo napoletano che lui stesso definì brutale, pose l’attenzione sulla definizione di arte nell’accezione “di una sorpresa fatta dalla natura“.

Caino e la sua Donna di Giovanni Battista Amendola

Dalla novità della scultura napoletana della terza Mostra Nazionale tenutasi a Napoli nel 1877, seguì quella di Torino del 1880, dove anche lì Achille d’Orsi lasciò parlare di sé presentando la scultura Proximus Tuus, un contadino in tutta la sua umanissima forma: le mani callose, la bocca semiaperta, le grosse scarpe, la posizione stanca. Ancora una volta, nessun filtro.

Proximus Tuus di Achille d’Orsi

Conservato ora presso la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, quest’opera, ancora più de I parassiti del 1877, fece scalpore, favorendo la rappresentazione del vero e della società: si ricordano il Minatore di Enrico Butti, il Pasto di Domenico Jollo, Le vittime del lavoro di Vincenzo Vela; Errore giudiziario di Riccardo Ripamonti; e coì via.

I parassiti furono acquistati nel 1878 da Annibale Sacco, direttore della Reale Pinacoteca di Capodimonte, prima che l’artista la dividesse per fare spazio nel suo studio. Solo in seguito, Vittorio Emanuele III di Savoia, ne fu così colpito che ne ordinò una copia in bronzo per la Galleria di Arte Moderna di Firenze, dove tuttora è conservata.

Fonte: Catalogo della Mostra il Bello e il Vero, la scultura napoletana del secondo Ottocento e inizio Novecento, a cura di Isabella Valente, 2014.

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di Rosaria Esposito

Classe '96, diplomata al liceo classico "Cneo Nevio" di Santa Maria Capua Vetere (CE) e laureata in “Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali” all’Università degli Studi di Napoli Federico II. A metà tra un approccio storico-artistico ed uno economico-gestionale, costruisce una figura professionale capace di muoversi nei campi della cultura, conservazione e valorizzazione del patrimonio. Dà un respiro internazionale al suo profilo studiando a Lille, tra il 2017 e il 2018, attraverso al Programma Erasmus+. L’esperienza di tirocinio extracurriculare presso il “Pio Monte della Misericordia” a Napoli la spinge ad iscriversi, nel 2019, al corso di laurea magistrale in “Archeologia e Storia dell’Arte”. Tuttavia, non abbandona il suo interesse verso la valorizzazione e la gestione: grazie all’associazione “Napulitanata”, studia da vicino dinamiche interne volte alla promozione culturale territoriale e la programmazione degli eventi che da sempre l’affascinano. Ambiziosa e curiosa è una grande amante dei libri e dei viaggi. Per lei la lettura ha un grande valore culturale: leggere significa avere sete di conoscenza, essere aperti al mondo e non essere mai stanchi di stupirsi. Curerà la rubrica “Pillole d’Arte”

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