«Mi piace tanto andare al cinema, in sala. Non amo guardare film in televisione»
–Giacomo Rizzo, attore e commediografo
Ha recentemente compiuto 84 anni Giacomo Rizzo, attore di teatro, cinema e televisione di grande spessore, autore di commedie e figura creativa meritevole d’aver portato Napoli in giro per il mondo, anche prima di Benvenuti al Sud, suo più grande successo.
Da voce partenopea ad espressione artistica nazionale, l’interprete ha alle spalle una carriera spettacolare in tutti i sensi sin dagli anni Quaranta e ha esordito al cinema in una delle pietre miliari della cinematografia italiana, accanto al grande Totò: Operazione San Gennaro, di Dino Risi (1966).
L’ultimo lavoro in cui ha recitato è la serie tv Vincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso.
«Sì, per la regia di Alessandro Angelini e con Massimiliano Gallo, di cui sono molto fiero. È un attore che può recitare qualunque cosa. Anche lui ha cominciato all’età di sette/otto anni, proprio come me. Mi sono divertito molto, benché recitassi in un ruolo drammatico, non proprio nelle mie corde. Ma non è l’unico ruolo di questo tipo, sono felice del successo avuto in precedenza e di cui si parla ancora. L’amico di famiglia di Paolo Sorrentino mi ha dato un respiro veramente internazionale».
Sorrentino è il nuovo Fellini? È d’accordo con quanto pensano molti critici?
«Ma no! È un grande regista, geniale. Può seguire un po’ Fellini, ma chi non ha riferimenti? Io sono nato con Totò. Ho sempre avuto davanti ai miei occhi i suoi tempi, la sua genialità, ma non ho mai pensato di volerlo imitare. Poi, Fellini è amato da tanti registi, anche Spielberg».
Quest’amore per Totò, invece, da dove nasce?
«Mio padre mi portò al cinema da piccolo a vedere Totò cerca casa: mi alzai in sala e gli dissi che da grande avrei voluto fare quello lì. Totò era uno Charlot parlante. Era un attore comico dai tempi straordinari, che credo abbiano avuto ben pochi. Poteva stare davanti alla macchina da presa e inventarsi l’ira di Dio».
Cosa ricorda, invece, del Totò uomo?
«Era difficile conoscerlo. Era una persona molto particolare. Non amava chiacchierare e parlava con poche persone».
E si può dire la stessa cosa di Pasolini, altro genio con cui lei ha avuto il piacere di lavorare?
«No, io e Pasolini eravamo amici. Nel suo capolavoro Il Decameron ho avuto la fortuna di recitare insieme a lui».
Pasolini, dunque, è stato una persona amabile e allo stesso tempo scomoda? Come mai, secondo lei?
«Non vorrei esprimere nessun giudizio, sono sincero. Quando non si conoscono le storie, a volte si dicono cose che possono dare fastidio. Non vorrei dare fastidio a nessuno. Penso solo che sia stato un uomo libero e straordinario. Lui sapeva di avere dei nemici, ma non doveva averli. In realtà, non credevo ne avesse: io ho soltanto visto intorno a lui una marea di gente che lo adorava».
Lei è nato comico, la considero un grandissimo caratterista. Tuttavia, le chiedo se si sia sentito a suo agio nell’interpretare un ruolo drammatico nel cinema di Sorrentino.
«Certo. L’attore comico recita in un ruolo drammatico con una grande semplicità. Bisogna avere personalità. È difficile il contrario: l’attore serio, privo di tempi comici, ha più difficoltà ad interpretare un ruolo comico».
I tempi comici cambiano, tuttavia, a seconda del regista. Lei è stato diretto anche da un gigante del cinema comico americano come Billy Wilder. Cosa ricorda di lui?
«Ho fatto una scena con Jack Lemmon in un suo film. Lemmon mi rideva in faccia, evidentemente per espressioni strane che facevo. Ho avuto un bellissimo rapporto, invece, con Wilder».
Lei ha recitato anche in certe cosiddette commedie sexy all’italiana, di cui, ancora oggi, si parla male o troppo poco. Non andrebbe maggiormente rivalutato come sottogenere? Non si sente in difetto, come molti ritengono ingiustamente, ad aver recitato anche in queste pellicole?
«A dir la verità, quando la ripropongono in televisione è molto seguita. Me lo dicono con piacere quando m’incontrano che mi hanno visto in alcuni di questi film. E no, comunque, non mi sento in difetto. Tutto quello che faccio, lo amo, perché nel momento in cui accetti un ruolo, lo fai. E lo fai con amore. Può cambiare l’impegno, ma non la sostanza. Ci credi ugualmente e ce la metti tutta!».
Benvenuti al Sud, invece, è stato il suo film di maggior successo di pubblico?
«È il film che mi ha dato la maggiore popolarità, non soltanto in Italia. Quest’estate ho incontrato gente da Belgio, Francia e Inghilterra che mi hanno riconosciuto e apprezzato, dal momento che avevano visto il film. Si son fatti le foto con me. È stato un grande successo, il regista Luca Miniero ha indovinato tutto qui. Ha contribuito a farci lavorare bene e uniti una certa atmosfera solidale e divertente. Benvenuti al Nord, invece, ha sbagliato l’impostazione rispetto al precedente. Il sequel è stato un film non corale, ma a protagonisti. Io ed altri non esistevamo più, ma solo per ricordo. Non entravamo davvero nella storia».
Secondo lei, la commedia italiana odierna pure sbaglia quest’impostazione?
«Ma no, sta avendo un grande successo! Pensiamo a Perfetti sconosciuti di Genovese: quanti remake ne sono seguiti! È stata una commedia all’italiana. Siamo forti nella commedia in Italia, per cui non possiamo abbandonare questo genere, fa parte di noi. I film belli hanno bisogno di un’ottima sceneggiatura (senza la quale tutto il lavoro cinematografico non può esistere) e bravi interpreti».
Quali sono i grandi attori di oggi nel nostro Paese? Novità, invece, per lei in cantiere?
«Ho molta stima di Edoardo Leo. Ho l’idea di fare uno spettacolo da solista, per raccontarmi anche con pezzi di varietà. Sono nato col Varietà, e vorrei farmi vedere anche dalle nuove generazioni intento a cantare, ballare e recitare. Ho fatto tutto in teatro. Inoltre, vorrei mettere in scena uno spettacolo di Raffaele Viviani, la sua unica commedia borghese. Ultimamente ho recitato in un corto, La passeggiata, che ha vinto già un paio di festival. Ho vinto come protagonista e ho recitato nuovamente in un ruolo drammatico».
Una carriera sterminata di ricordi e poesia: grazie Giacomo!
«Sono sempre pronto a chiacchierare, perché amo il mio lavoro. Il bello della vita è che non muore niente. Il mondo mica finisce? Solo una cosa mi auguro per le nuove generazioni italiane: impariamo a parlare prima la nostra di lingua, e poi le altre. Perché è bellissima, ma spesso ce lo dimentichiamo…».
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