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Conversazione con Gianni Giuliano, una speranza del Teatro dialettale di Bologna

«Io che faccio teatro dialettale oggi è come se stessi per diventare oggetto da museo» 

Gianni Giuliano, attore

 

Il dialetto è uno e plurimo, ma ancor di più lo è il Teatro, universale: non è possibile, pertanto, parlare di teatro di nicchia quando si fa riferimento al teatro dialettale.

Gianni Giuliano, nato a Bentivoglio nella provincia di Bologna, è attivo ormai dagli anni Settanta sui palcoscenici della sua regione per portare avanti un discorso solo apparentemente locale. 

Il dialetto, infatti, e così il suo linguaggio artistico da sipario, è tradizione, identità, lo stare al mondo senza dimenticare chi siamo prima di tutto. 

Non mancate ai suoi appuntamenti tra Bologna e provincia: diverse sono le rassegne di teatro dialettale che v’aspettano in autunno e inverno! 

È faticoso portare avanti oggi un discorso incentrato su un teatro dialettale? 

«Sì, perché prima il dialetto era un’unica cosa con la popolazione, e a dire il vero in Veneto (grazie a un nome come Carlo Goldoni) o nel Mezzogiorno d’Italia (grazie al grande Eduardo) continua ad essere così. Qui no, a Bologna ormai si sta perdendo. Questo dipende tanto dal pubblico, perché oggi con la globalizzazione è difficile trovare bolognesi autoctoni. In provincia, invece, è molto più apprezzato». 

Con la tua compagnia continui comunque a mettere in scena spettacoli di teatro dialettale nel capoluogo felsineo?

«Sì, ma con minor frequenza rispetto a prima proprio per i motivi che dicevo. Un fattore negativo importante è stato determinato anche dal covid, che ha eliminato praticamente gran parte del nostro pubblico, senza possibilità di ricambio generazionale. Fortunatamente, il Comune di Bologna ci tiene molto a valorizzare il dialetto locale: ecco perché consente alla mia compagnia (Arrigo Lucchini), di cui sono presidente appunto, di portare in scena spettacoli, specialmente durante la rassegna Bologna Estate presso la nuova piazza intitolata al maestro musicale Lucio Dalla».

Non potrebbe essere una valida strategia disporre dove si può di sottotitoli, come si fa nei teatri d’opera?

«Purtroppo non tutti i teatri sono attrezzati, ma in qualche occasione l’applichiamo, ovvero quando facciamo spettacoli di varietà e non commedie. In quei casi impieghiamo schermi con sottotitoli per consentire al pubblico di seguire meglio poesie o canzoni, previste nel repertorio del varietà, in dialetto bolognese, appunto». 

Ecco, poi i giovani oggi snobbano pure il dialetto in generale…

«Il problema è come conquistarli, perché quando capita che vengono a vederci restano incantati e non se l’aspettano».

Allora come si può fare? Io da giovane, però, mi sto già incuriosendo!

«Sicuramente le nuove forme d’intrattenimento tecnologico, i nuovi canali pubblicitari possono dare una mano, senz’altro. Anche se la tecnologia, la televisione e il cinema allontanano dal teatro, purtroppo».

Qual è il segreto per convertire nel linguaggio odierno testi teatrali dialettali del 1800, in modo tale che quanta più gente possibile possa comprendere?

«All’epoca si scriveva diverso da come poi veniva letto, era tutto più complesso. Negli ultimi decenni, invece, Roberto Serra, Luigi Lepri e Daniele Vitali hanno creato una nuova grafia dialettale di più facile lettura, dove il dialetto viene, con gli accenti dovuti, scritto così come si legge: tutto questo facilita molto l’accesso ai non addetti ai lavori».

C’è uno spettacolo cui sei più legato rispetto ad altri?

«Quando ne hai fatti tanti finisci per amarli un po’ tutti…». 

Hai fatto incontri che t’hanno segnato nella carriera artistica?

«Davide Amadei ricordo con piacere, ovvero uno scenografo di fama internazionale nelle opere liriche. Con noi ha lavorato nel teatro dialettale, faceva da regista, ma è venuto tristemente a mancare la scorsa primavera a soli cinquantasei anni. Sono attivo nella compagnia dal 1985 e ho recitato in diverse commedie soprattutto al Teatro Dehon di Bologna».

Qual è il tuo sogno nel cassetto?

«Continuare a fare quello che faccio».

Dal presente al passato avverto tutta la consapevolezza d’una passione che, sebbene operante in un’epoca di sofferenza per il teatro dialettale, ha tutta la forza di restare ancorata a terra anche in futuro. Complimenti per tutto e, come si dice a teatro: MERDA MERDA MERDA!!!

«Esattamente, grazie Christian, spero di non finire in una mostra (ride)». 

Si ringrazia l’artista anche per averci fornito le fotografie.

Per saperne di più, clicca al link sulla conversazione:

https://fb.watch/ncgZj3HY74/

© IL QUOTIDIANO ONLINE • 2023 RIPRODUZIONE RISERVATA

di Christian Liguori

Classe '97, storico dell'arte e docente laureato in Archeologia e Storia dell'Arte all’Università degli Studi di Napoli Federico II. Dopo aver pubblicato il libro “Paolo Barca e la frantumazione della logica cerebrale umana”, un saggio di cinema sul regista Mogherini, ha maturato esperienze in svariati campi: dalla pubblicazione di articoli per un blog e una redazione online, a quella di filmati su YouTube e pagine Facebook; dalla partecipazione come interprete in spettacoli teatrali e cortometraggi, all’attivismo associativo per la cultura e l’ambiente. Già conduttore web-televisivo e radiofonico, è da sempre specializzato in recensioni di film. Curerà le rubriche "Le conversazioni di Liguori" e “Il Cinema secondo Liguori”.

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