Nel Periodo della Memoria, un dovuto omaggio al Museo Itinerario della Memoria e della Pace di Campagna, luogo simbolo di straordinaria umanità, resistenza e indiscusso rispetto, nonché mio luogo del cuore
Le leggi razziali, la Seconda Guerra Mondiale, un lembo di terra accerchiato dalle montagne e, per questo, considerato adatto ad ospitare due campi di internamento per prigionieri politici ed ebrei; così comincia la storia diversa di Campagna, una vicenda legata indissolubilmente ad un cognome: Palatucci.
Giovanni Palatucci era un funzionario dell’ufficio stranieri della Questura di Fiume; a Campagna aveva uno zio, Mons. Giuseppe Maria Palatucci, il Vescovo della Città. A salvare migliaia di ebrei fu la collaborazione tra i due: Giovanni forniva loro permessi speciali e, spesso, li mandava proprio nel campo di internamento dell’ex convento domenicano di Campagna, sicuro che lì sarebbero stati lontani dalla morte e dalla bestialità dei campi di sterminio. Appare semplice, in questa breve sintesi, raccontare l’accordo di questi spiriti eletti; certamente più difficile e rischioso fu mettere in atto i depistaggi che, una volta scoperti, costarono la vita a Giovanni Palatucci. Egli, deportato a Dachau, lì morì, alla vigilia della liberazione del campo, il 10 febbraio 1945.
A Campagna, il Museo a lui dedicato, ospitato nell’ex campo di internamento ubicato nel Complesso di San Bartolomeo, è un percorso immersivo nelle vicende di quegli anni, in Italia e nel borgo salernitano. La sala introduttiva presenta su un holoscreen l’ebreo ungherese Eugenio Lipschitz che racconta i suoi ricordi sulla permanenza a Campagna: agli internati era permesso passeggiare in paese entro determinate aree, suonare, cantare, dipingere, fare attività fisica, leggere e dare lezioni di lingua straniera agli abitanti del luogo.
Al piano di sopra, l’area dedicata agli spazi della vita quotidiana nel campo di Campagna: la camerata, con semplici suppellettili, e la sinagoga, dove i rabbini officiavano, in un dialogo interreligioso costante e pacifico, il rito ebraico, a pochi passi dalla Chiesa cattolica di San Bartolomeo.
Poco distanti, i pannelli fotografici raccontano invece la vita di Giovanni Palatucci, la situazione e la condizione degli ebrei nei lager, mentre la Sala della Shoah ricorda i numeri e i luoghi dello sterminio, con particolare attenzione agli oggetti appartenuti agli ebrei (scarpe, occhiali e valigie) che si accingevano ad attraversare il binario della morte, la cui immagine ricopre un’intera parete. Proprio di fronte – e in contrapposizione – la Sala dei nomi e la via della fuga: una finestra da cui nel 1943 fu consentito agli ultimi ebrei internati di scappare sulle montagne circostanti, affinché si salvassero dai bombardamenti e dalla cattura da parte dei tedeschi.
Il bombardamento del 17 settembre 1943 fu una vera e propria carneficina; la Sala Medica racconta bene l’encomiabile l’intervento dei medici internati Max Tanzer e Chaim Pajes che, pur rischiando di essere presi dai tedeschi, offrirono il loro aiuto alla popolazione campagnese che tanto bene li aveva accolti. La nuovissima Sala della Musica, invece, dedicata al musicista ebreo polacco Bogdan Zins che plurime volte aveva suonato anche l’organo monumentale nella Cattedrale cittadina, immortala la pratica della musica come rifugio dalla prigionia: i giochi di colore alle pareti, le proiezioni olografiche e un antico pianoforte sono gli elementi che catapultano il visitatore nella libertà dell’immaginazione che la musica riesce a dare.
La visita si conclude nella Sala emozionale intitolata a Giovanni Palatucci in cui, con una proiezione, si ripercorrono le fasi della deportazione ebraica: l’arresto, il viaggio, l’arrivo a Campagna e lo sbarco alleato.
«Nonostante un distorto revisionismo storico tenda a sminuire vicende come la nostra, il ruolo del Museo è e resta quello di custodire e tramandare quella che fu una luce nel buio di quegli anni» sottolinea il Direttore, Marcello Naimoli. «Se posti come Campagna non si sono allineati con ciò che stava avvenendo in Italia, farne conoscere la storia alle future generazioni è un obbligo e un dovere morale. Proprio le parole “Memoria” e “Pace” sono alla base della nostra storia e sono quelle che, non a caso, compaiono nel nome del Museo».
“… ci vogliono dare a intendere che il cuore sia solo un muscolo e ci vogliono impedire di fare quello che il cuore e la nostra religione ci dettano”.
Giovanni Palatucci – Giusto tra le Nazioni e Medaglia d’Oro al Merito Civile
Le foto e alcune informazioni sono state riprese dal sito www.museomemoriapalatucci.it.
Si ringrazia il Direttore del Museo, Marcello Naimoli, per la disponibilità mostrata.
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