L’attentato politico che ha segnato la sconfitta di un’intera classe dirigente e ha posto fine ad una fase della storia italiana.
Roma, 9 maggio 1978. In casa del professor Franco Trito (amico e assistente universitario di Moro) poco dopo mezzogiorno suona il telefono. Il telefono squilla tre volte. Il mittente della chiamata è Valerio Morucci (brigatista) da una cabina telefonica della stazione Termini, ha fretta e sta per attaccare. Al terzo squillo, però, qualcuno dall’altra parte del telefono risponde.

Il professor Trito chiede ripetutamente chi sia al telefono; il brigatista, dopo essersi definito un certo dottor Niccolai, brutalmente risponde: «Brigate Rosse». A quelle parole segue un gelido silenzio, dissolto subito dal più funesto dei messaggi: «Adempiamo alle ultime volontà del presidente comunicando alla famiglia dove potrà trovare il corpo dell’onorevole Aldo Moro».
Il tribunale del popolo ha deciso! La condanna è stata eseguita. Dopo 55 giorni di prigionia Moro viene ucciso, poco prima delle 7 del mattino, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, nel garage di un condominio a via Montalcini, nella periferia della Capitale (stando alla ricostruzione delle BR). Aldo Moro è morto e questa volta non si tratta di uno scherzo di cattivo gusto, come nel caso del falso comunicato, diramato il 18 aprile dai brigatisti, ma di una drammatica verità. Il presidente della Democrazia Cristiana è stato giustiziato e il suo corpo giace, inerme, sotto un telo dentro una macchina rossa, parcheggiata in via Caetani, a due passi dalla sede della Democrazia Cristiana, in piazza del Gesù, e da quella del Partito Comunista Italiano, in via delle Botteghe oscure.
Svoltato l’angolo di via Caetani, la politica italiana va in coma.
Il processo virtuoso innescato da Moro, insieme al Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer, per il raggiungimento di un’uguaglianza sociale e politica, non giunge a compimento. I partiti italiani iniziarono ad allontanarsi dal popolo. La partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese, principio fondante della nostra Costituzione, iniziò ad affievolirsi. In Italia la politica si trasformò in una macchina alla ricerca spasmodica del consenso. Il consenso elettorale prese il posto delle ideologie di partito. La scomparsa dei leader carismatici dei partiti di massa, come Moro e Berlinguer, innescarono nella vita politica Italiana il tutti contro tutti che porterà alla fine della prima stagione repubblicana.
La morte di Aldo Moro segna la sconfitta di un’intera classe dirigente e pone fine ad una fase della storia italiana. A distanza di 43 anni, da quel 9 maggio 1978, gli effetti di quell’efferato delitto sono ancora presenti nella nostra società. Lo stato d’animo degli italiani, sconcertati e sconfortati dall’omicidio di Moro e dalle stragi degli anni di piombo, è lo stesso degli italiani di oggi, delusi dalla politica. Cosa accomuna gli italiani di oggi a quelli di allora? Non confidare nelle istituzioni.
In questo quarantatreesimo anniversario, nel quale facciamo memoria della morte di Aldo Moro e di tutte le vittime del terrorismo, vogliamo, sulle orme dell’insegnamento del presidente DC, chiedere alle istituzioni di smettere di essere rappresentazione di interessi per tornare ad essere veri rappresentanti dei cittadini italiani. La politica torni ad essere, sulla testimonianza di Moro, risposta ai bisogni veri delle persone e dell’ambiente.
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