L’abbiamo vista ospite domenica scorsa da Fazio a “Che tempo che fa” sulla Rai, lì l’abbiamo sentita confessare di ricordare ancora qualche parola in italiano: è Sharon Stone, icona indiscussa del cinema americano, divenuta popolare subito dopo aver preso parte come protagonista al cult “Basic instinct“, diretto da Paul Verhoeven nel 1992 e con Michael Douglas, tra i vari.

Un thriller che ha fatto epoca, a cominciare dai titoli di testa: forme di corpi uniti da amplesso naturale e scomposto in ulteriori forme che compongono quelle, e dunque un erotico riferimento alle tante nude “demoiselles” non solo “d’Avignon”, non solo picassiane, non solo figure femminili.

Sono un uomo e una donna, infatti, a tenersi stretti e avvinghiati durante l’atto, saranno anche due donne a baciarsi durante il film con quella stessa ed ossessiva morbosità perversa che caratterizza tutti i rapporti sessuali della protagonista bisessuale, la fantastica e bellissima Sharon Stone che qui incarna un’emancipata ed autonoma libertà sessuale che è analoga a quella -sempre costante- bramosia di potere con cui nel sesso schiavizza gli uomini, come in altre circostanze, tra stratagemmi, piani, strategie, parole, fermezza, furbizia, trame, insomma celando disturbi, sofferenze psichiche e disordini ossessivi dietro una perversa e perfetta macchina di ordine e perfezione, che soccombe alla letteratura (stesura di romanzi), ma non si regge se non si realizza in una sorta di dicotomia tra finzione e realtà che induce vittime (e quindi, pure noi spettatori) anche a credere per vere delle bugie, perché persino la macchina della verità le soccombe.

Nella prima parte si scade qualche volta in ripetizioni, facilitazioni, prevedibilità e volgarità, ma resta il continuo disegno di una mente “malata” di artefare e ricreare la realtà (scomponendola “cubisticamente” per piani) che fa da sfondo ad un lungometraggio ugualmente pazzesco.
Valutazione: Ottimo 🌟🌟🌟🌟/🌟🌟🌟🌟🌟
©️ IL QUOTIDIANO ONLINE – 2021 RIPRODUZIONE RISERVATA