Giugno è stato il mese del Pride, per celebrare l’amore universale e vario in tutto il mondo. Spiace che ci sia ancora il bisogno di ribadirlo in questa società, ma se una mano può darla il cinema tanto di guadagnato!
“Tutto su mia madre” è una pellicola ormai passata alla storia, e non si dimentica nemmeno il suo tocco avanguardistico alle soglie del Terzo Millennio.
Quando il “sopra le righe” riesce a non sganciarsi dalla realtà parliamo del cinema di Pedro Almodóvar.

In particolare, però, forse il suo viaggio interiore/esteriore più vitalistico, emozionale e sensazionalistico nello stesso tempo è, appunto, questo melodramma del 1999, che riportò un meritatissimo Oscar come miglior pellicola straniera, e che avrebbe potuto benissimo decretare la vittoria anche della protagonista pazzesca quanto il lungometraggio, e di gran forza, Cecilia Roth: cosa che non avvenne.
Si è avvolti dai colori vivaci (come gli attori e le note della colonna sonora stupenda nel suo spiritualismo sotteso al film) fin dalle prime scene, un preludio per quel travolgimento dei sensi, costante quanto il ritmo della pellicola, che condurrà lo spettatore sino alla fine a restare letteralmente inchiodato allo schermo, scosso dopo il finale e desideroso di ricominciare da capo il film dopo la visione.

Una storia in cui, alle soglie di un Terzo Millennio fatto ancora di razzismo, omofobia e annessi e connessi, l’amore tra due donne, la transessualità, il problema della droga e della prostituzione e l’allora piaga dell’AIDS sono posti sullo stesso piano di tutto, e si mescolano fra loro e con altri aspetti delle diverse vite e dei vari spaccati di realtà di Barcellona, tra centro e periferia, qui descritti.

Il regista, così, ci vuole dire che la vita è proprio un incastro armonico e colorato, come i caldi costumi, le luci accese ed una scenografia fatta di specchi dove la tua vita è tale e quale a quella dell’altro, anche se diversa.
Valutazione: Capolavoro 🌟🌟🌟🌟🌟/🌟🌟🌟🌟🌟
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